
Ricordando Edmondo Berselli: "Acume, ironia e semplicità. Per questo rimarrà unico"
Modena, 12 maggio 2024 – "Di Edmondo mi manca l’acume, l’ironia e soprattutto la sua capacità di tenere insieme l’alto e il basso. È stato unico", esordisce Gian Arturo Ferrari, docente universitario, curatore editoriale e scrittore di radici emiliane: per più di vent’anni ha diretto la divisione libri della Mondadori, quindi ha presieduto il Centro per il libro e la lettura istituito dal Ministero dei Beni culturali. È uno dei massimi esperti italiani di editoria, e soprattutto ha accompagnato e curato tantissimi autori di grido. Nei suoi anni mondadoriani ‘tenne a battesimo’ anche "Quel gran pezzo dell’Emilia", il ritratto di una regione e della sua gente che Edmondo Berselli diede alle stampe proprio vent’anni fa, nel 2004: un libro che fu definito "un’indiavolata scorribanda nella regione rossa", dove però il rosso delle bandiere comuniste è un po’ impallidito per lasciare spazio al rosso delle Ferrari. Anche di questo si parlerà domani alle 18 alla chiesa del Voto, dove – a partire dal libro cult di Berselli – si confronteranno Alberto Bertoni, italianista e poeta, e Romano Prodi, economista e politico, in un dialogo con Ugo Berti Arnoaldi, con le letture di Andrea Quartarone.
Professor Ferrari, come conobbe Berselli?
"Ero rimasto molto colpito dal libro ‘Il più mancino dei tiri’ che aveva pubblicato con Il Mulino, e desiderai conoscerlo. Me lo presentò l’amico Beppe Cottafavi. Inizialmente Edmondo era un po’ diffidente: in me e nella Mondadori vedeva forse Berlusconi, anche se poi si rese conto che non era così. Ci conoscemmo e stringemmo un’amicizia affettuosa. Con noi ha pubblicato i suoi libri più belli e preziosi".
Cosa la colpiva di Berselli?
"Era un uomo coltissimo, ma non ne faceva sfoggio. Era dotato di un’ironia che gli permetteva di osservare tutto con uno sguardo sempre inedito, anche sorprendente. Quando mi propose il progetto di ‘Quel gran pezzo dell’Emilia’, lo accolsi a braccia aperte"
Perché?
"Innanzitutto perché io sono e mi sento emiliano, anche se, per circostanze legate alla guerra, sono nato in Lombardia nel 1944. I miei genitori erano di Scandiano, e per questo anche io arrivo dalla terra emiliana. E mi piaceva che Edmondo potesse realizzare un ritratto del carattere emiliano che non sempre era emerso pienamente. L’Emilia non ha sempre avuto a stessa fortuna letteraria di altre regioni come il Piemonte, la Toscana, il Lazio e la stessa Lombardia. E questo lavoro di Berselli mi sembrava che potesse far emergere l’essenza e l’anima di una regione, sia pur sempre con la grazia e la leggerezza che erano suoi tratti distintivi".
Secondo lei, in questi vent’anni, è cambiato il carattere emiliano?
"No. Gli emiliani mantengono sempre questa grande capacità di apprezzare i valori pieni della vita, tuttavia senza prendersi troppo sul serio. Era così anche Edmondo".
E questo manca?
"Sì, dopo la sua scomparsa, per me molto dolorosa, non ho visto in altri la stessa capacità di ritrarre un’epoca, un mondo. Edmondo, lo ribadisco, era certamente unico. Del resto, si sa, i grandi sono sempre unici".