FRANCO
Cronaca

Certi vecchi sembrano saggi perché raccontano queste storie

E’ arrivato in libreria “La parola ai novantenni“, di Paolo Sorcinelli. Un vero viaggio tra l’umanità più sincera

Bertini

Guardando la foto a centro pagina – che è anche la copertina del libro – si possono fare due considerazioni: decidere di non leggerlo perché nulla nelle sue quasi 300 pagine potrà essere altrettanto bello come questo “Corteo nuziale“ di un matrimonio di campagna, che in effetti, guardando persone e abbigliamenti, la strada bianca che si snoda lontano e alzando lo sguardo fino al profilo delle case lontane, racconta un mondo intero; oppure decidere di leggerlo perché, se la copertina è così bella, figuriamoci come potranno essere le pagine che lo compongono, fra cui altre immagini altrettanto belle, come quella della famiglia contadina che va "spigolando" ritratta da Paolo Alfieri nel suo “Un paese in bianco e nero“.

La decisione è semplice: questo libro è da leggere, si intitola “La parola ai novantenni“ (Metauro Edizioni, 2024), contiene "venti storie dal Novecento raccolte nella provincia di Pesaro e Urbino all’inizio del terzo millennio a cura di Paolo Sorcinelli, allora docente ordinario di Storia Sociale dell’Università di Bologna - Campus di Rimini. Sono venti storie scelte fra le 98 raccontate nel 2007 in circa 180 ore di testimonianze rilasciate in audio e in video, da 98, 47 uomini e 51 donne, nati fra il 1907 e il 1917, dunque neo novantenni e oltre. Perché queste venti storie e non altre? si chiede giustamente Sorcinelli e si risponde con semplicità, "perché si prestavano ad essere elaborate senza tante manipolazioni... storie dove il pianto e il riso erano sempre stemperati da una buona dose di disincanto, da un pragmatico realismo, da una punta di ironica visione della realtà e qualche volta perfino da un’insospettabile vena poetica".

Giuseppina F., Cagli 1917, commerciante; Dino L. e la moglie Valeria F, Fossombrone e Modena 1917: commerciante e dirigente scolastica; Ernesta G., Monte Porzio 1917: contadina; Laudemia G., Cantiano, 1916: casalinga; Attilio C., San Giovanni in Marignano 1916: coltivatore diretto-mediatore; Alipio G., San Costanzo 1915: contadino; Anselmo A., Lucrezia di Cartoceto: muratore; Trento Enrico B., Frontone 1915: commerciante-fattore; Irma R., Sant’Agata Feltria 1915: postina; Nazzareno G., Montefelcino 1914: muratore; Letizia C., Santa Maria in Sasseto di Calstedelci 1914; casalinga; Gino M., Urbino 1915: mezzadro-operaio; Lina B., Montreal (Canada) 1913: esercente sali e tabacchi; Diomira F., Massa di Cagli 1913: ristoratrice; Piero P., Serra Sabt’Abbondio 1913: manovale; Maria P. , Monte Cerignone 1913: casalinga; Gilberto G., San Giorgio 1911: falegname; Angelina A., San Giorgio 1913: sarta; Milton G., Acquaviva di Cagli 1911: manovale; Attilio C., Fano 1910: muratore.

Nessuno di loro ha fatto la storia, ognuno di loro è la storia, quella che si vive ma non si legge, che non resta negli archivi, nei libri, nei diari di famiglia, nei testi canonici dei "grandi". Non significa che la vera storia è la loro, ma che di storie ce ne sono tante. "Come se ogni storia – conclude Sorcinelli nella sua introduzione – fosse una pièce teatrale di fronte alla quale il lettore non è solo colui che legge, ma anche il regista incaricato di portare alla ribalta le sfumature comportamentali e psicologiche dei vari personaggi".

Sono storie a strati come la torta margherita, sempre con una costante: chi sta sotto a fare da base nascosta e chi sta sopra a fare la ciliegina. "Mio padre era autista di corriera – ricorda Giuseppina G. classe 1917 (nella foto) – risiedeva a Cagli e andava a Fossato e a Fano, cioè collegava le due ferrovie, quella per Roma e quella per Bologna. Ha continuato a farlo fino alla pensione. Mia madre ha voluto acquistare un negozio che era di un certo signor Maroncelli e poi è stata nel negozio. Ma questo negozio nostro era particolare, perché vendevamo filati di canapa e cotone... non tutti avevano da vendere quel cotone, si trovava solo a Cagli e venivano a comprarlo da Frontone, da Serravalle, da tutte le parti...".

Novantenni abituati a racconti antichi trasmessi oralmente e che per una volta incappano nel registratore di Sorcinelli, nelle vesti di Omero, che mette per iscritto le loro parole. Ne escono dei veri e propri gioielli letterari e storici. "Eravamo contadini in mezzadria dal principe Barberini che aveva una tenuta con novanta fondi – racconta Ernesta G. di Monteporzio –. Il podere nostro era grande, undici ettari mi sembra. Dividevamo a metà col padrone, c’era solo il grano con cui potevi fare qualche soldo, ma alla fine non c’era mai una lira... avevano palazzi a Roma dove c’era anche una via con il loro nome: via Barberini". Dice Laudemia nata nel 1916: "Sono l’unica che si chiama Laudemia a Cantiano però tutti mi chiamano Dema". Trento Enrico B. di Frontone: "I miei genitori mi hanno battezzato col nome di Trento in onore delle terre irredente Trento e Trieste". O, come "decanta" Attilio C., fanese del 1910, "siamo andati chi da una parte chi dall’altra, perché eravamo sbandati come gli uccelli nell’aria", ricordando il tempo in cui era soldato in Albania dopo l’8 settembre 1943. I vecchi sembrano saggi perché raccontano storie, che sono altra cosa dalla storia. Questo libro lo conferma.