ANDREA COLOMBARI
Cronaca

Lo chef Cannavacciuolo in aula: “Mai concesso il mio marchio, né di potere usare la mia immagine”

Tre gli imputati, che nel 2018 gestivano il ristorante-pizzeria ’Saporetti’ di Marina di Ravenna. Il giudice ha revocato l’ammenda da 300 euro inflitta al noto cuoco perché a gennaio non s’era presentato

Lo chef Antonino Cannavacciuolo all’uscita del tribunale (Foto Giampiero Corelli)

Lo chef Antonino Cannavacciuolo all’uscita del tribunale (Foto Giampiero Corelli)

Ravenna, 10 ottobre 2024 – L’altra volta, a fine gennaio, aveva fatto sapere di essere impegnato a Matera per una puntata di ’Cucine da incubo’. Più di 600 chilometri da Ravenna insomma: e così lui non si era potuto presentare in tribunale dove lo attendevano per ascoltarlo. Uguale a una ammenda da 300 euro, ieri revocata su richiesta della difesa (avvocato Riccardo Santagostino). Perché Antonino Cannavacciuolo, ai più noto come ’chef Cannavacciuolo’ grazie ai tantissimi format televisivi sull’arte culinaria di cui è, o è stato, protagonista, questa volta si è presentato. Puntuale, alle 11.15 dopo quasi quattro ore di strada dal comune del Novarese dove risiede: per raccontare in prima persona della disavventura dal retrogusto penale che aveva avuto come contesto un ristorante-pizzeria di Marina di Ravenna. E che vede ora imputate tre persone in concorso: un bresciano 65enne difeso dall’avvocato Marco Agosti. E una donna e un uomo di origine cubana - lei 34enne, lui 52enne - difesi dall’avvocato Massimo Pleiadi. I tre devono rispondere di uso di un marchio registrato nel 2017: quello del celeberrimo chef appunto. Reato che procede d’ufficio, vanificando la proposta di risarcimento degli imputati. “Mai vista l’aula così piena”, ha esclamato il giudice Roberta Bailetti a fine udienza. Immaginiamo in molti lì più per vedere lo chef pluristellato che per capire come possa dipanarsi questa vicenda penale. Tanto che alla fine della testimonianza, l’aula si è svuotata. In ogni caso, secondo l’accusa era accaduto questo: nell’imminenza dell’inaugurazione del locale, tra settembre e dicembre 2018 erano stati usati manifesti pubblicitari e perfino un camion vela con il marchio in questione per promuovere un menù di pesce. Il locale - che si chiamava Saporetti - peraltro raccoglieva lo stesso nome di un ristorante rivierasco che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 veniva frequentato dal jet set ravennate, compreso un certo Raul Gardini. Ma questa è un’altra storia.

Quella che ha coinvolto Cannavacciuolo, si è sviluppata in aula attraverso la voce baritonale del nostro. “Prima di tutto mi scuso per la volta scorsa che non sono venuto”. Capitolo ammenda chiuso, eccoci allora proiettati nel nocciolo dell’accaduto: “Mi giunsero messaggi sui social. Ho quasi 6 milioni di persone che mi seguono: mi mandarono un po’ di foto. C’era un tizio che si faceva pubblicità con il mio nome. Dissi alla segretaria di chiamare, verificò che c’era questa cosa legata a me. C’erano volantini e pure un furgone con la mia immagine: andai dai carabinieri”. Nessun dubbio sul marchio: “È registrato e non ne ho mai concesso l’utilizzo”. Cannavacciuolo ha pure ricordato di avere conosciuto uno dei tre imputati, una ragazza di origine cubana: “Con lei feci una puntata di ’Cucine da incubo’”. Era il 2016 a Mantova, “ma non poteva usare mia immagine se non quel contesto”.

“Lei è talmente noto per me e per tutta la mia famiglia che non so come chiamarla; lei invece non mi conosce...”, ha esordito l’avvocato Pleiadi prima di chiedere al testimone alcune puntualizzazioni su questa singolare storia. Prossima udienza a inizio dicembre quando, dopo avere ascoltato gli imputati, potremmo forse conoscere la sentenza.