
Foreign fighters
Ravenna, 24 gennaio 2019 - Si è parlato di terrorismo. O meglio, del ‘fenomeno e delle strategie di prevenzione e di contrasto: il caso Ravenna’. Un seminario quello organizzato dalla questura ieri a palazzo Rasponi, che ha raccolto alcuni tra i maggiori esperti del settore. Ad ascoltarli, oltre al questore Rosario Eugenio Russo, non solo i più diretti interessati della materia, vedi dirigente e vice-dirigente della Digos ravennate, Alberto Aurelio Verzera ed Enzo Fiorentino. Ma anche i più importanti rappresentanti delle istituzioni. Vedi il procuratore capo di Ravenna Alessandro Mancini; il comandante provinciale della guardia di finanza, Andrea Fiducia; il tenente colonnello Gennaro Flauret capo ufficio comando dell’Arma; il vicesindaco Eugenio Fusignani e il comandante della polizia locale Andrea Giacomini, solo per citarne alcuni.
Il quesito che più ha aleggiato tra le antiche stanze del palazzo, era incentrato proprio sulla città: perché Ravenna è diventata una sorta di capitale dei foreign fighter? Del resto non solo ha fatto da contesto al fermo, nel 2015, del primo il primo foreign fighter bloccato in Italia dopo l’entrata in vigore della specifica legge: il tunisino Noussair Louati. Ma davvero tanti, in proporzione agli abitanti, sono stati gli stranieri espulsi perché a rischio radicalizzazione: ben sei solo nel 2018.
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Francesco Marone, ricercatore all’osservatorio sulla radicalizzazione e il terrorismo internazionale dell’istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano e docente all’università di Pavia, ha dato una spiegazione precisa: «La ragione – ha detto – è in parte casuale, almeno all’inizio». Ovvero qui da noi «si è costituito un nucleo di cittadini tunisini, in parte dediti allo spaccio di droga: e alcuni di questi, sono poi entrati in processi di radicalizzazione jihadista e hanno trascinato con loro conoscenti, parenti e amici». Ma allora perché Ravenna, e l’Italia, non sono mai stati segnati da gesti eclatanti sebbene il profilo di diversi degli espulsi coincida con quello degli autori di gravi attentati in altre parti del mondo? La risposta a questa domanda, è giunta da Stefano Dambruoso, sostituto procuratore della Dda di Bologna: «In Italia – ha detto – magistratura, servizi segreti e forze di polizia hanno saputo monitorare con attenzione e intelligenza il fenomeno. Il terrorismo si contrasta con fermezza, repressione ma anche con grande attenzione a sviluppo dialogo inter-religioso e multiculturalismo».