
GINECOLOGIA La lunga lettera di una ginecologa licenziata e reintegrata
Ravenna, 2 aprile 2017 - Le sue integrazioni fatte sulla cartella clinica di una neonata figlia di una giovane madre di Bertinoro e morta al parto il 22 gennaio 2016 all’ospedale di Faenza, erano state giudicate trascurabili o in taluni casi legittime. Per questo il tribunale civile (sezione Lavoro) aveva annullato il suo licenziamento peraltro condannando l’Ausl Romagna a pagarle un risarcimento e le spese di lite. Ora la ginecologa faentina Valeria Caroli (tutelata dall’avvocato Gianni Casadio), attraverso una lunga lettera inviata al Resto del Carlino, è tornata su quel licenziamento giunto dopo 40 anni di servizio e «pesato su di me come un macigno, facendomi quasi vergognare di passeggiare per la città a testa alta, nonostante abbia sempre avuto la piena coscienza della mia innocenza. Ho pensato tante volte a quelle persone che vengono licenziate quotidianamente senza colpa e alla condizione che sono costrette a subire. Nei loro confronti io addirittura sono privilegiata per essere in età pensionabile. La maggior parte dei licenziati non ha neppure questa consolazione».
Ora però – continua la ginecologa – la sentenza potrà restituire dignità «a me e al mio reparto» nel quale «tante persone lavorano al servizio della popolazione senza calcoli o sotterfugi, anche se in condizioni critiche. Infatti dopo quell’evento» dell’anno scorso «che ha lasciato a casa tre operatori, la stessa unità operativa (ora si chiama così) è stata ingiustamente penalizzata», di conseguenza «costringendo tante donne ad andare a partorire lontano». Secondo la dottoressa, «ora è il momento di fare qualche riflessione in più e l’evoluzione della mia storia lavorativa mi induce a farlo pubblicamente».
Sul piatto ci finiscono diversi interrogativi con relative risposte: «Com’era l’ospedale di Faenza nel lontano 1977 quando presi per la prima volta servizio in Ostetricia e Ginecologia? Com’è adesso? Era un bell’ospedale, con reparti d’eccellenza. Ricordo la Pediatria con il professor Manfredi; la Cardiologia, le Malattie Infettive con il professor Ferlini, il laboratorio con il dottor Cenni. Non vi era il direttore generale, ma un consiglio di amministrazione che per sua natura e composizione era a stretto contatto con i fruitori dei servizi sanitari».
Qui la dottoressa ricorda pure che «la direzione sanitaria era presente nel controllo delle prestazioni, ma anche nel sostegno al lavoro quando cercava di ovviare ai disagi della carenza del personale o si preoccupava di introdurre professionisti validi. Il rispetto degli operatori era presente e l’obiettivo comune era il massimo delle prestazioni e la loro qualità. Ogni reparto aveva un adeguato numero di posti letto e un primario a tempo pieno che conosceva i malati e la loro storia».
La riflessione torna quindi alla Ginecologia: «Il primo primario che ho avuto, non mi vedeva di buon occhio perché ero una donna (allora era una rarità soprattutto in Ostetricia), ma poi mi ha apprezzato. A quei tempi avevamo la concorrenza della casa di cura San Pier Damiano e quasi tutti i parti di Faenza avvenivano là. Nonostante questo, lavoravamo con passione e cercavamo il meglio per soddisfare le pazienti. Allora i turni erano di 24 ore. La strumentazione era rudimentale; arrivavano i primi apparecchi per cardiotocografia, ma di routine si usava lo stetoscopio, una trombetta di legno che si appoggiava al ventre materno per ascoltare il battito cardiaco fetale. Anche allora non mancavano le emergenze dalla sofferenza e morte fetale all’emorragia post partum, ma il rapporto medico paziente era improntato alla fiducia». In questo contesto, il paziente «accettava l’imprevisto o l’impossibilità del professionista di debellare la malattia completamente».
A questo punto nella lettera si giunge a ciò che oggi l’ospedale secondo la ginecologa è diventato: «Da una ventina d’anni è nata l’Azienda sanitaria che ha assorbito anche l’ospedale in cui ho lavorato, quello di Faenza. È scomparso il consiglio di amministrazione, trait d’union tra la popolazione e la gestione del servizio, e sono arrivati il direttore generale, i dipartimenti con relativi responsabili, i presidi ospedalieri. Da allora i numeri hanno cominciato a contare molto, più delle persone e della qualità del servizio, provocando una progressiva distanza dai bisogni dei cittadini. La burocrazia è aumentata fino anche a prevaricare la funzione sanitaria stessa e ha costretto tutti a passare più ore davanti al computer che accanto al malato».
E qui si arriva alle noti dolenti perché «il numero dei medici e del personale sanitario è diminuito, quello dei dirigenti amministrativi aumentato. I posti letto sono stati drasticamente ridotti e più reparti accorpati in uno solo (vedi Chirurgia che accoglie Urologia, Orl, Oculistica). I concorsi per primari sono diventati rari, lasciando il posto ad affidamento di responsabilità. Non solo. Ora un Primario quasi sempre si distribuisce fra Ravenna, Lugo, Faenza se non oltre, con turni massacranti. Tutto il personale è ridotto all’osso, quindi costretto a ridurre le prestazioni, che, a livello dei vertici, non sono più l’obiettivo primario. La chiamano razionalizzazione».
In tutto questo «in Ostetricia in particolare si è andati verso un depauperamento grave. Le donne faentine che possono partorire in città, sono divenute ormai una rarità. Il numero dei parti negli ultimi mesi si è molto ridotto. Viene il forte sospetto che tutto questo non sia il frutto del caso, ma di un disegno preordinato e ispirato all’applicazione di una legge» secondo cui «sotto la soglia dei 500 parti annuali, un punto nascita può essere abolito».
Il ricordo torna al 1977 quando «sono partita. Da allora è cambiato il mondo e quindi non è pensabile che anche i servizi sanitari non debbano avere subito delle evoluzioni. Oggi negli ospedali non si usano più gli stetoscopi di legno ma macchine costose che, indubbiamente, hanno migliorato le condizioni di sicurezza, hanno favorito la prevenzione rispetto alla terapia. C’è anche da dire che però hanno indotto le persone a pensare che la malattia sia sempre eliminabile. La serenità nel lavoro, condizione indispensabile per essere motivati, produttivi e umani è progressivamente diminuita alimentando un clima di diffidenza. Pure in un contesto di razionalizzazione e di governo dei costi, ci sono domande che restano senza risposta. A che serve avere il pediatra (almeno di giorno) e le sale operatorie tra le più belle della Romagna, oltre alla sala parto operativa, se non si può più fare un taglio cesareo programmato? È così a Faenza. Forse in Emilia Romagna gli ospedali sono troppi. Se così fosse, è giusto ingannare la popolazione cambiando lo stato delle cose in modo rudimentale, riducendo il personale, aumentando i disagi senza illustrare il punto di arrivo? E poi non sarebbe giusto per una donna che deve partorire e arriva da lontano indirizzarla all’ospedale più vicino? Perché a Ravenna e non a Forlì?».
Secondo la dottoressa manfreda, «la trasparenza dovrebbe essere un vincolo di partenza e non una generosa concessione. La politica dov’è? Che cosa pensa? I cittadini non si fanno sentire, subiscono il disagio e commentano fra di loro; il loro malumore aumenta e la sfiducia pure. Io non riprenderò servizio. Dopo un anno di assenza non avrebbe alcun senso farlo, data anche la mia posizione pensionistica che nel frattempo ho attivato. Appena fui licenziata, fui contornata dal conforto sia del mondo sanitario che del mondo giuridico: ognuno per la sua parte mi spinse a non accettare il provvedimento di licenziamento in quanto ingiusto e infondato, sia sotto l’aspetto giuridico che sotto l’aspetto strettamente operativo. Ho quindi impugnato il provvedimento non per trarne alcun vantaggio personale ma per oppormi alla prevaricazione e all’opportunismo. Oggi ho sentito la necessità di denunciare pubblicamente un’ingiustizia che ho subìto. Ma soprattutto – conclude la ginecologa – mi preme denunciare il degrado che sta invadendo il mondo del lavoro che ho amato e per il quale ho speso quarant’anni della mia vita, nonostante tanti colleghi cerchino di resistere e operino con grande dedizione».