Vadim Piccione morto dopo la Notte Rosa, il padre: “Non è annegato, voglio la verità”

Aveva 22 anni, la tragedia nel 2012 a Riccione. "Per il nostro medico legale fu asfissia a causa di terzi"

La tragedia in cui ha perso la vita il 22enne Vadim Piccione e il padre Giuseppe a destra

La tragedia in cui ha perso la vita il 22enne Vadim Piccione e il padre Giuseppe a destra

Ravenna, 14 aprile 2024 – “Secondo la relazione del nostro medico legale, Vadim non morì per annegamento, ma per asfissia a causa di terzi. Quella relazione era già in Procura, nonostante ciò è stato tutto archiviato”.

Giuseppe Piccione non si è mai rassegnato all’ipotesi di un incidente. E a cinque anni dall’ennesima archiviazione, chiede nuovamente di riaprire l’inchiesta sulla morte di suo figlio Vadim, il 22enne di Ravenna che proprio il padre trovò morto sulle rive del canale Marano, a Riccione, tragico epilogo della Notte Rosa del 2012.

Era il 7 luglio: i quattro amici che erano con Vadim tornarono a casa, a Ravenna, senza che nessuno si fosse particolarmente preoccupato della sua sorte. Lui no. E ora, con un nuovo legale, l’avvocato Elena Fabbri, il padre di Vadim, Giuseppe, si appresta a chiedere nuovi accertamenti alla procura di Rimini alla luce delle risultanze di un aspetto fin qui mai investigato: l’analisi del cellulare del giovane.

Un esame impossibile fino a qualche anno fa, su un apparecchio di vecchia generazione e per di più compromesso perché trovato in acqua, ma che oggi le nuove tecnologie rendono praticabile. Obiettivo: capire chi Vadim sentì al telefono quella sera e soprattutto con chi trascorse le sue ultime ore, per provare a ricostruire che cosa gli accadde. Potrebbe essere stato ucciso?

"Non lo sappiamo con certezza – ammette il padre –. Dalle foto dell’autopsia emerge che Vadim ha una macchia rossa. Non uno, ma due medici hanno detto che non è morto annegato. Non fu accolta la nostra richiesta di fare esami più approfonditi, che oggi sarebbero impossibili".

E poi gli amici. "Sostenevano di averlo chiamato più volte quella sera – aggiunge Piccione –, ma dai tabulati non risultava. Ho provato a ricontattarli, ma non mi hanno mai risposto. Da loro avrei voluto sapere altri dettagli, anche solo bonariamente e in via confidenziale. Di più: mi sono trovato denunciato dalla madre di uno di loro, secondo la quale avrei incolpato il figlio. Non ho mai dato colpe, né fatto nomi, e infatti la denuncia è stata archiviata".

La sera del 7 luglio 2012 il 22enne, di origini bielorusse e adottato, aveva raggiunto la Riviera in treno con gli amici. Si erano divertiti e avevano bevuto, poi si erano persi di vista. Ore dopo il tragico ritrovamento. Le indagini si sono sempre concentrate sull’omissione di soccorso, ma la famiglia ipotizzava altre piste, come la morte in conseguenza di altro reato.

L’autopsia, fatta dopo che il corpo era stato lasciato al caldo al cimitero in un sacco poiché all’obitorio non c’era posto, restituì una conclusione solo deduttiva di annegamento, ma nei polmoni del giovane non c’era acqua. E infine l’ultimo mistero: il cippo in ricordo di Vadim, sul canale in cui morì, fu profanato: la foto strappata, una testa di pesce infilzata. "Anche quella denuncia è stata archiviata – spiega il padre –. Perché una testa di pesce legata con elastico da donna? Era chiaro che l’indagine allora riaperta, e poi di nuovo archiviata, dava fastidio a qualcuno".