Reggio Emilia, 19 gennaio 2025 – “Dopo Saman Abbas, tante ragazze possono avere paura di denunciare. Ma io voglio dire che non c’è stata solo la sua fine, ma anche quella che ho fatto io. Sono viva, sto bene, ho un uomo accanto che ho scelto io”. Parla con il volto nascosto, Amina, pakistana: la sua storia combacia moltissimo con quella della connazionale uccisa a 18 anni il primo maggio 2021 a Novellara (Reggio Emilia), ma il suo finale apre alla speranza.

La donna viene intervistata in un documentario, ‘Saman’, che andrà in onda martedì 28 gennaio su Sky crime alle 22 e in streaming su Now. Prodotto da Pongofilms per Hearst Networks Italia, e sostenuto dalla Film commission Emilia-Romagna, ha ricevuto vari riconoscimenti. Si incentra sulla 18enne del cui omicidio risponderanno il 27 febbraio in Appello i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, condannati all’ergastolo, lo zio Danish Hasnain (14 anni di pena) e i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, assolti.
Amina racconta di aver seguito talvolta in aula il processo di Reggio: «Ascoltando i racconti su Saman, sentivo che parlavano di me». È un rispecchiamento comune alle giovani straniere nate o arrivate in Italia, sospese tra la cultura di origine e quella di approdo e che rischiano di pagare con la morte per le loro scelte libere. Il documentario ripercorre non solo la storia di Saman, ma anche i problemi delle donne di seconda generazione. I registi Gabriele Veronesi e Luca Bedini auspicano che «grazie al film qualcosa rimanga nella storia collettiva e non scivoli via cinicamente».
Si parte da Novellara, centro di 13mila persone, travolto da uno choc. Dice il parroco don Giordano Goccini: «Mi ha colpito il grande lavoro fatto sugli stranieri: non si voleva lasciare che venissero solo perché c’era bisogno, ma si è investito sulla loro identità». Conferma l’ex sindaco Elena Carletti, ora consigliere regionale del Pd: «La nostra è una piccola città che ha fatto dell’integrazione un obiettivo strategico». Eppure la tragedia di Saman è avvenuta proprio qui: «Il padre aveva lavoro e casa da anni – prosegue Carletti -. Non ebbe mai bisogno di rivolgersi ai servizi sociali: ciò fece di loro una famiglia a noi sconosciuta».
Ma non del tutto: «I servizi incrociarono Saman e provarono a salvarla da un matrimonio forzato». Lo sconvolgimento resta: «Ci siamo sentiti – dice don Goccini - un paese macchiato da una colpa non chiara». Amina racconta tra le lacrime dio essere stata costretta a lasciare la scuola e a nozze forzate, «celebrate via Skype» con un cugino in Pakistan. In Italia ebbero un figlio, poi lui iniziò a picchiarla: «Mia madre mi disse: ‘Può succedere, forse è colpa tua’».
Amina scappò col bambino e denunciò, poi andò in comunità. Vinta dalla nostalgia voleva incontrare la madre, che le chiese di rientrare a casa dicendosi cambiata. Ma un ragazzo pakistano al bar, poi diventato il suo nuovo marito, la invitò alla cautela: Amina constatò in effetti che la mamma voleva farla di nuovo andare in Pakistan. Marwa Mahmoud, nata in Egitto e cresciuta a Reggio, ora è assessore alle Politiche interculturali nella città del Tricolore: è la prima a indossare l’hijab. Pure lei dice di essersi rispecchiata nella doppia identità della 18enne di Novellara e riflette: «Su Saman abbiamo fallito tutti noi: era figlia dell’Italia e doveva interrogare le nostre coscienze».
Tiziana Dal Pra, fondatrice di ‘Trama di terre’, associazione che valorizza le donne di diverse provenienze, ammonisce: «Saman è una, ma di storie come la sua ce ne sono tantissime. Dobbiamo dire no – tuona – alla paura di essere giudicate islamofobe, colonialiste e razziste se diciamo basta». Guarda al futuro, don Goccini: «Se anche fossero tutti condannati per la morte di Saman, non dirò che giustizia è fatta. Lo sarà quando tutte le Saman non rischieranno più».