REDAZIONE REGGIO EMILIA

"Operatori incapaci di offrire supporto ai bambini in difficoltà"

Al processo ’Angeli e Demoni’ contro-interrogata, come teste assistita, Cinzia Magnarelli. L’assistente sociale patteggiò 1 anno e 8 mesi per aver attestato il falso in una relazione dell’agosto 2015 .

"Operatori incapaci di offrire supporto ai bambini in difficoltà"

Una rete di servizi sociali per minori sotto stress; operatori gravati da una mole di lavoro enorme e non raramente in dissidio tra loro; un interlocutore – la Neuropsichiatria dell’Ausl – incapace di fornire supporto sul piano "qualitativo e quantitativo alle psicoterapie i bambini, che necessitavano di una seduta a settimana". Per questo il Servizio sociale della Val d’Enza ingaggiò l’associazione torinese di Claudio Foti: la Hansel e Gretel. È il quadro emerso ieri al processo per i presunti affidi illeciti: in aula, come teste assistita c’era Cinzia Magnarelli, l’assistente sociale che patteggiò 1 anno e 8 mesi (pena sospesa) per aver attestato il falso in una relazione dell’agosto 2015 sull’allontanamento di due fratellini. E di fatto l’unica che ha raccontato apertamente i dissensi verso i propri dirigenti e il "metodo Foti". La donna (seguita dall’avvocato Alessandro Conti) si è sottoposta tutto il giorno al contro-esame dei difensori, spiegando che in 10 anni di servizio si è occupata di 300 casi: "Normalmente ne seguivo 50, quando ero su Montecchio anche di più. Lavoravo le 36 ore settimanali, facendo 20-25 ore di straordinario", ha detto incalzata dall’avvocato Colliva (difesa ex sindaco Colli), spiegando che quando entrò nel nucleo sull’abuso dei minori, i suoi casi erano "non più di 20". Il clima s’è più volte surriscaldato per la minuziosità degli interrogatori, a cui ha preso parte anche Rossella Ognibene (difesa di Federica Anghinolfi, ex dirigente Servizi sociali). Interrogata dall’avvocato Nicola Canestrini (difesa Francesco Monopoli, braccio destro di Anghinolfi) sul come erano gestiti i casi, Magnarelli ha dichiarato che "c’erano pressioni esterne all’equipe, anche rispetto alle scelte del Servizio". C’era un "aspetto di formalità e di sostanzialità che erano difformi": le decisioni venivano da "livelli più alti" rispetto all’equipe. La teste ha anche detto aver subito pressioni per fare il master della Hansel e Gretel: "Non lo feci, non ero d’accordo. Mi fu chiesto più volte". C’erano anche differenti valutazioni tra lei e Monopoli: "Il malessere di un minore si vede. Ma gli aspetti aspecifici dell’abuso possono essere visti in modo diverso a seconda degli occhiali che ci si mettono". Tra le divergenze, il modo in cui descrivere i casi: "Bisognava colpire alla pancia delle persone, enfatizzare lo stupro". La teste ha preso le distanze anche sul metodo del collega di conduzione dei colloqui: "Incalzava i minori, pressava nel modo in cui poneva le domande; lo dicevano operatori che non volevano più lavorare con lui perché non volevano essere parte di questa modalità".

Francesca Chilloni