REDAZIONE REGGIO EMILIA

Uccise la moglie con una pietra nel 2009 Ora è semilibero e lavora in una ditta in città

Marco Manzini di Scandiano aveva ammazzato Giulia Galiotto con una pietra e poi aveva inscenato il suo suicidio nel Secchia

La semilibertà dopo aver scontato neppure 13 anni di carcere a fronte dei 19 previsti dalla condanna e un nuovo lavoro a Reggio. Una vita nuova, quella che Giulia non potrà mai avere. Marco Manzini, originario di Scandiano ma residente a Sassuolo, una volta uscito dal carcere lo scorso febbraio ha chiesto e ottenuto un lavoro a tempo pieno e ha cercato, a quanto pare, di ‘mediare’ penalmente con la famiglia della vittima che ha rifiutato alcun tipo di contatto. Era il 2009 quando Manzini ammazzò la moglie Giulia Galiotto a San Michele dei Mucchietti, Sassuolo. La chiamò al telefono, facendole credere di doverle mostrare qualcosa poi la colpì nove volte con una pietra alla testa. Dopo l’omicidio inscenò il suicidio della moglie, gettando il corpo della vittima nel fiume Secchia. Chiamò quindi i familiari chiedendo dove Giulia potesse trovarsi, finengendosi preoccupato. La Cassazione nel 2013 ha confermato la pena a 19 anni di carcere ma Manzini a febbraio ha ottenuto la semilibertà con la messa in prova ai Servizi sociali. Una ‘buona condotta’ che gli ha permesso di uscire dalla cella, nonostante il fine pena fosse previsto nel 2025, anticipato quindi rispetto al 2028, alla ‘scadenza’ dei 19 anni.

La mamma di Giulia, Giovanna Ferrari ha appreso della scarcerazione da una lettera inviata dai legali dello stesso, in cui l’assassino della figlia si dichiarava disponibile a versare alla famiglia cinquanta euro al mese "anche al fine di adempiere alle statuizioni civili di cui alla sentenza della corte d’assise d’Appello di Bologna. Una manifestazione di avvicinamento del Manzini – si legge nella missiva – ad un’ipotesi di mediazione penale". "Non accettiamo alcuna mediazione – sottolinea la mamma di Giulia, Giovanna Ferrari – Lo Stato lo ha già agevolato abbastanza, prendendo in giro i familiari della vittima. Ci ha proposto un’elemosina ma non è una questione economica; abbiamo assistito alle schifezze che ha detto su di lei in tribunale e non ha mai mostrato pentimento. Oggi noi non sappiamo dove sia e chi lo controlli mentre lui sa tutto di noi. Metti caso che noi avessimo paura?". Il delitto, fa presente Ferrari, da premeditato era stato ‘ammorbidito’ in delitto d’impeto per "tempesta emotiva", eppure "lui sapeva cosa stava facendo, ma è sembre riuscito a condurre il gioco" sottolinea Ferrari. "Nessuno si oppone al suo reinserimento ma il punto è che la persona offesa non ha ricevuto alcuna informazione circa la scarcerazione di Manzini – afferma l’avvocato della famiglia Elisa Vaccari – Lo abbiamo saputo perché c’è stata proposta la mediazione e vorrei ricordare che il codice rosso è stato istituito anche per informare la persona offesa. Mediazione penale? Non la accettiamo: qua non parliamo di un furto ma di un omicidio". L’avvocato civilista della famiglia Galiotto-Ferrari, Paolo Pezzali ha sottolineato come: "Probabilmente Manzini ha cercato di offrire cinquanta euro al mese per evitare il pignoramento di un quinto dello stipendio. Reputiamo la somma offerta alla famiglia assolutamente inaccettabile. Ora abbiamo individuato il nuovo datore di lavoro e non ‘molleremo la presa’". In virtù della sentenza di primo grado il legale aveva già notificato un atto di precetto sulla provvisionale presso terzi, ovvero l’azienda di Sassuolo in cui Manzini Lavorava. "Ha liquidato il Tfr, cifra assolutamente irrisoria rispetto a quanto stabilito nella sentenza, anche perchè all’uomo era stato sospeso lo stipendio".

Valentina Reggiani