Ancona, 27 novembre 2019 - Claudio Pinti condannato a 16 anni e 8 mesi di carcere anche in secondo grado. La sentenza della Corte di Assise di Appello è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri, alle 19 e dieci minuti, dopo tre ore e mezzo di camera di consiglio e ad otto mesi dal primo verdetto, quello del 14 marzo scorso arrivato in abbreviato.
Nessuno sconto di pena nella lettura del dispositivo da parte del presidente della Corte, il giudice Giovanni Trerè, per l’autotrasportatore di Montecarotto accusato di aver contagiato con il virus dell’Hiv la sua ex fidanzata Romina Scaloni e la compagna Giovanna Gorini poi morta nel 2017 per una patologia riconducibile all’Hiv. In apertura di udienza ieri Pinti ha rilasciato dichiarazioni spontanee e staccando per pochi secondi lo sguardo dalla corte si è rivolto a Romina, che era in aula, dicendole: «Ti chiedo scusa». Questo per averle nascosto di essere sieropositivo quando ha iniziato la relazione sentimentale.
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Per lui non solo un cambio esteriore. Pinti adesso si cura. Lo ha rimarcato il suo avvocato Massimo Rao Camemi, commentando anche la sentenze di secondo grado. «Il mio assistito è turbato dal processo – ha detto il legale – seppur la conferma della condanna era una delle possibilità messe in conto. Aspettiamo le motivazioni (tra 90 giorni, ndr) per valutare il ricorso in Cassazione. Pinti ha superato la tesi negazionista, quello ormai è un periodo che fa parte del suo passato infatti ora si cura e riconosce la malattia. E’ dispiaciuto per la Scaloni. Alla Gorini mai impedito le cure, solo consigliato». L’avvocato nel ricorso ha chiesto anche la sostituzione della misura in carcere con i domiciliari ma la corte si pronuncerà tra 5 giorni.
L'ex fidanzata: "Non credo al suo pentimento"
«E’ stata la cosa più giusta, sono contenta e sollevata, penso che oltre alla giustizia terrena ci sia anche quella divina». Così Romina Scaloni ha commentato ieri la sentenza di secondo grado che ha confermato la condanna di 16 anni e 8 mesi di carcere per Claudio Pinti, l’uomo con il quale si era legata sentimentalmente ma che le ha trasmesso il virus dell’Hiv avendo con lei rapporti non protetti e omettendole di dire che era sieropositivo da quasi dieci anni. Dopo la lettura del dispositivo ha abbracciato commossa la sorella di Giovanna Gorini (la compagna poi morta nel 2017 per una patologia riconducibile all’Hiv), parte civile nel processo come lei, gli avvocati della famiglia Gorini e suo figlio che le è stato sempre accanto. Raggiungendo in fretta l’uscita accompagnata dal suo avvocato Alessandro Scaloni sorrideva. Sulle scuse che Pinti le ha rivolto in aula ha detto: «Non credo ad una sola parola che ha detto, lo conosco bene, non gli credo».