Ancona, positivo all'Hiv faceva sesso non protetto. L'untore reclutava in chat donne e gay

Sfilano le prime ‘vittime’ del sieropositivo. Che è in carcere, minacciato dai detenuti

Claudio Pinti con Giovanna Gorini, la donna con cui viveva e che è morta a causa dell’Aids

Claudio Pinti con Giovanna Gorini, la donna con cui viveva e che è morta a causa dell’Aids

Ancona, 14 giugno 2018 - Pressioni psicologiche sulle sue fidanzate e partner per non farle sottoporre a test sull’Hiv, per convincerle che la malattia non esiste. Claudio Pinti, l’untore di 35 anni arrestato l’altro dalla mobile di Ancona per lesioni gravissime dolose, ha ammesso di aver fatto sesso non protetto con 228 persone, donne, ma negli ultimi periodi anche uomini contattati su siti e chat gay. Gli ultimi il 3 e 5 giugno scorsi. A chi gli stava apparentemente più a cuore, la compagna morta un anno fa e l’ultima fidanzata, aveva confidato di essere sieropositivo, ma che un test recente aveva dimostrato come la malattia fosse scomparsa: «Mi sottopongo a controlli medici per curiosità, non per altro» raccontava Pinti.   

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Al grosso delle ‘prede’ degli ultimi dieci anni, Claudio Pinti non ha rivelato alcun dettaglio a proposito della sua sieropositività. Quando lo ha fatto, verso la metà di aprile scorso, ha attivato un’enorme reazione a catena. Messo alle strette dall’attuale compagna, una 47enne di Agugliano conosciuta a inizio febbraio e con cui ha consumato rapporti non protetti. Quando la donna gli ha detto di volersi sottoporre al test per l’Hiv, la risposta di Pinti è stata questa: «Non andare dal medico, non fare visite, sono inutili. Il virus dell’Aids non esiste». Un fitto scambio di messaggi sui social che, vistosi alle strette, l’autotrasportatore ha tentato di cancellare chiedendo lumi ad un tecnico informatico. 

 

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Le prime, potenziali vittime dell’untore intanto iniziano a palesarsi: «Sono disperata - ha detto una delle due donne che hanno seguito l’appello fatto dalla questura chiamando al numero di telefono dedicato - di recente ho avuto rapporti con quell’uomo, più di uno, e purtroppo temo di essere positiva al test dell’Hiv. Assumerò tutti i provvedimenti del caso qualora fosse confermato il contagio. Lui deve pagare». Due donne e un uomo si sono rivolti alla questura, mentre altre persone sono state sentite dagli inquirenti.    Anche qui donne e uomini i cui nomi sono spuntati fuori dagli interrogatori e dalle pieghe dell’inchiesta, in particolare attraverso il materiale contenuto in pc e smartphone di Pinti. Nell’udienza di convalida dell’arresto in carcere, Pinti si è avvalso della facoltà di non rispondere. Presto, per le sue condizioni di salute, potrebbe andare in regime carcerario alternativo. Per ora è stato messo in cella di isolamento (la stessa dove è stato Oseghale, accusato della morte di Pamela Mastropietro), anche perché quando i detenuti di Montacuto hanno capito che era arrivato il famoso ‘untore’, è scoppiata una minaccia collettiva: «Sei finito!», «Appena esci dalla cella ti stacchiamo la testa».