Storie di città, la voce di chi non ha voce

Il potere della voce dei potenti contrastato dalle storie di vita di persone comuni, come un pensionato che chiude il suo negozio e un anziano seduto sotto una quercia. Un richiamo alla bellezza e alla tristezza della vita quotidiana.

I potenti hanno voce! Ce l’hanno sulla stampa, ce l’hanno nei media, ce l’hanno nei luoghi delle istituzioni. Ma tra la gente? O sono solo la voce di se stessi? Ecco, allora, raccontare storie piccole, quelle minori, aiuta a riequilibrare un po’ un altrimenti che è silenzio. Scena prima. Lui è un pensionato. Non scriverò il nome per rispetto della sua riservatezza. Ha oltre settant’anni. Ha speso una vita dedicandola ad un negozio atipico. Dopo quasi mezzo secolo lo ha chiuso. Ha tirato giù la serranda perché i centri commerciali sono spaventosamente forti rispetto alle botteghe, e perché la qualità dei prodotti oggi non basta a richiamare clienti che in rete trovano tutto specie paccottiglia. Il locale non era suo. Sempre stato in affitto. L’altro giorno l’ho visto di lontano. Mi sono avvicinato. È passato davanti a quel "suo" negozio sgombro di merci, silenzioso, sena vita e senz’anima. Si è fermato, ha appiccicato il naso alla vetrina e ha indugiato più di un istante. Mi sono chiesto quante storie abbia riproposto la sua mente. Quanti volti passati di lì, quanta gente conosciuta, quante parole dette e spese, quanti sguardi, quanti racconti di generi diversi. Una vita intera. In un frangente di momento si è riproposto un film lungo cinquant’anni. Scena seconda. Settimane fa era caldo ed io stavo risalendo una strada che dalle piane porta su di un colle. Ero arrivato prossimo ad una piccola chiesa di campagna, quando, alla mia sinistra, ho scorto un vecchio. Sedeva sotto una quercia, una delle ultime di queste strade decapitate di alberi a vantaggio di auto veloci. Sedeva su uno sgabello appoggiando la schiena alla pianta secolare. Mi sono attardato a guardarlo. Aveva un volto pieno di rughe, una sorta di carta geografica della sua vita. Quella vita, probabilmente, vissuta nei campi, nella durezza del lavoro un tempo da mezzadro e poi da piccolissimo proprietario. Guardava verso mare. Le mani, una sull’altra, appoggiate al bastone. In testa un cappello anch’esso vissuto a lungo. Mi sono chiesto cosa pensasse, quali riflessioni scaturissero dalla sua mente. M’è sembrato di scorgere una certa tristezza per quel desiderio di bene assente che ogni uomo cerca. Tristezza però e non disperazione. Non so perché ma sono emerse le parole di Clemente Rebora: "Nell’imminenza di Dio, la vita fa man bassa sulle riserve caduche. Mentre ciascuno si afferra ad un suo bene che gli grida "addio!"".

Adolfo Leoni