Perché l’alluvione in Romagna, l’esperto: “Competenze frazionate, serve un’unica autorità”

Il geologo Claudio Miccoli, ex responsabile risorse idriche e idrauliche dell’area romagnola, analizza le cause di evento così devastante

Ravenna, 21 maggio 2023 – “Quando si verificano straripamenti e alluvioni così disastrosi non c’è mai una sola causa, ma una serie di concause, in primo luogo carenza o impossibilità di manutenzione, che, tradotto, significa troppi alberi negli alvei, poi mancata realizzazione delle vasche di laminazione e assenza di sistematica sorveglianza lungo fiumi e torrenti. Ognuna di queste voci, poi, ha a monte altre cause. In prima battuta una legislazione nazionale e regionale, sul fronte ambientale-naturalistico e della gestione del territorio, a dir poco schizofrenica e che limita o impedisce gli interventi. Cosa fare per cercare di evitare analoghe tragiche situazioni in futuro? Avere il coraggio di riconoscere gli errori degli ultimi tempi, rivedere le leggi e ripristinare l’efficacia e l’efficienza del sistema dei Servizi tecnici della Regione che una volta erano il fiore all’occhiello a livello nazionale".

Le cause dell'alluvione esaminate dal geologo Claudio Miccoli
Le cause dell'alluvione esaminate dal geologo Claudio Miccoli

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Il geologo Claudio Miccoli, dirigente regionale a riposo, ex responsabile del Demanio risorse idriche e idrauliche dell’area Romagnola e dell’area Reno e Po’ di Volano, ha passato trent’anni della vita a studiare l’assetto del territorio e intervenire sui fiumi, oltre che sull’erosione marina, e va diritto al cuore del problema che, riguardando sostanzialmente il dramma accaduto, necessariamente fornisce indicazioni per evitarne, per quanto possibile, il ripetersi.

È stato un evento imprevedibile?

"No, al netto della quantità di pioggia caduta che sì possiamo definire abbondantissima, comunque non è stato imprevedibile, nel senso che rientra nelle statistiche degli esperti in idrometeografia. Voglio dire che quando, come paradigma per gli interventi, tecnicamente si parla di piene monosecolari, anzi, oggi il riferimento è stato cambiato in bisecolare, si hanno in mente proprio piene come quelle dei giorni scorsi".

Miccoli, sappiamo che la portata del fiume è il prodotto della sezione per la velocità. Insomma, la velocità dell’acqua è fondamentale, al netto da altre circostanze, per la sicurezza del fiume. Gli alberi negli alvei riducono la velocità?

"Certo, incidono sulla cosiddetta scabrezza, ovvero la resistenza che l’acqua incontra nel deflusso e quindi lo rallentano. E se si riduce la velocità, visto che la portata, cioè la quantità di acqua che passa in un secondo in un punto dato, resta invariata, allora inevitabilmente il livello si alza alla ricerca di una sezione più ampia. E così supera gli argini e tracima".

E se si alzassero gli argini?

"No, perché si accentuerebbe la forma a V di gran parte dei nostri fiumi che dalla via Emilia a valle sono pensili. Gli argini più resistenti sono quelli a forma estesa. Forse si dimentica troppo spesso che nel nostro territorio i corsi dei fiumi negli ultimi secoli sono stati costruiti dall’uomo per rendere sicuri gli insediamenti e permettere le coltivazioni".

E scavare il letto del fiume?

"Neppure anche perché pur essendo i nostri fiumi a regime lento, il deposito del limo non incide di molto. Se incide, lo fa nelle golene".

E allora cosa si può fare per evitare analoghi disastri?

"Costruire le vasche di laminazione o casse di espansione, che significa allargare la sezione di cui parlavamo, in un dato punto. Il Lamone non ne ha nessuna! Sul Senio invece qualcosa si è fatto, a San Severo, mentre quella di Cuffiano è ferma da anni. Poi le diaframmature degli argini deboli, che vengono scavati e rinforzati con getti di cemento o bentonite. Io negli anni 80 l’ho fatto sui Fiumi Uniti a Porto Fuori, sul Montone a San Marco, sul Senio a Cotignola e sul Lamone alla foce. Poi manutenzione costante degli alvei, ovvero taglio degli alberi. Tanto per dire, dal punto di vista idraulico il miglior fiume è quello a tappeto erboso! Infine controllo costante degli argini".

Perché gli alberi non vengono tagliati?

"Perché anni fa qualcuno ha inserito molti tratti dei fiumi delle Sic e delle Zps, ovvero zone di importanza comunitaria e di protezione speciale, per via delle nidificazioni. Vigente tale normativa i tagli possono essere solo selettivi ed eseguiti da agosto a marzo, riducendo quindi i tempi di lavoro".

Per ovviare occorre un intervento legislativo.

"E anche un cambio di atteggiamento degli ambientalisti e il superamento dei limiti territoriali".

Nel senso?

"Che deve esserci un’unica autorità che decide sul bacino di un fiume come accadeva fino a qualche anno fa. Poi la Regione ha cambiato la norma introducendo competenze frazionate a seconda dei confini comunali. Come se un fiume riconoscesse l’autorità comunale! Questo significa mancanza di coordinamento, troppi enti da mettere d’accordo per gli interventi".

Lei punta il dito anche sulla sorveglianza dei fiumi.

"Ma certo. Fino a qualche anno fa c’erano i sorveglianti idraulici, gente super preparata che era sempre in giro lungo gli argini. Adesso fanno i passacarte in Regione e la sorveglianza è affidata ai privati o in caso di emergenza, alla protezione civile. Per carità bravissime persone, ma non li vedo muoversi lungo gli argini. Li ho visti solo fermi sui ponti chiusi. I sorveglianti invece controllavano a piedi le sponde, uno per argine. Per individuare ad esempio una crepa, un fontanazzo. In questi casi un intervento immediato può essere risolutivo". Crepe o fontanazzi magari causati da una tana.

"Come è accaduto alla rotta del Sillaro. Come accade per la maggior parte dei collassi improvvisi degli argini. E’ il problema di oggi, si chiama bioturbazione, tassi ed istrici sono ovunque. Ma non diamo tutte le colpe agli animali, prenda i ponti ferroviari…"

Spieghi.

"Si tratta di ponti che hanno ben più di 60/70 anni mentre quelli stradali sono stati tutti rifatti e alzati negli ultimi decenni. Così l’acqua sbatte contro le strutture, rallenta e alza il livello, aumenta la pressione sulle sponde. E’ un caso che la rotta di Boncellino sia avvenuta in prossimità sia di un basso ponte ferroviario da anni segnalato alle FS e di una zona Sic e Zps? O che Alfonsine abbia rischiato l’esondazione del Senio per il rigurgito dell’acqua contro il ponte della linea ferroviaria Ravenna-Ferrara? Se mettiamo insieme tutti gli interventi di sicurezza idraulica sulle infrastrutture che andavano fatti, il loro costo sarebbe stato al massimo il 10 per cento dell’ammontare dei danni attuali, senza contare il valore delle vite perse".