REDAZIONE FERRARA

"Ho fatto gol con i miei seggiolini"

Dal San Paolo allo stadio della Juve, imprenditore realizza le poltroncine per gli impianti di mezzo mondo

di Mario Bovenzi

Ribaltabili e poltrone vip, magari pure riscaldate. A ciascuno secondo le sue esigenze, a tutti per essere sempre più comodi. E’ questa la missione di Valerio Milani, 61 anni, che da 30 progetta e installa seggiolini per sport e spettacolo, dai campi di calcio alle luci della ribalta un po’ in tutta Italia e nel mondo. C’è la firma di questo imprenditore di Cento nello stadio Diego Armando Maradona, a Napoli (il glorioso San Paolo). Che guarda al cuore dei tifosi con l’idea – è ancora in un cassetto – di ‘disegnare’ nella curva il volto del pibe de oro proprio con i colori dei seggiolini. Ancora, è sempre lui a far stare comodi i tifosi nell’impianto Juventus Stadium, del Meazza di Milano, dell’Olimpico di Roma, nell’estadio monumental di Lima in Perù. Senza dimenticare le seggioline del nostro Mazza, un motivo in più per seguire dagli spalti la Spal. Dal pallone allo schermo con le seggioline rosse del cinema multisala a Valencia. E dallo schermo ai cavalli, sua la mano del centro ippico ad Hachen, Germania. L’avventura di Milani, socio della Cna, comincia quando conosce un po’ per caso un imprenditore francese che negli anni Settanta si era inventato una seggiola senza spalliera. Riforniva anche le sedute al circo di Moira Orfei, Milani invece con altri due amici faceva i carrozzoni assemblando i pezzi dei telai. Sotto il tendone scocca la scintilla. Ma la svolta arriva nel 1986 quando entrano a gamba tesa nel mondo del pallone. San Benedetto, Pescara, una scia di impianti fino ad approdare ad Italia 90, l’incoronazione in questo mondo che vuole urlare gol balzando in piedi da una poltroncina. Fino al 1994 Milani va di pari passo con il socio francese, poi i volumi aumentano, il giro s’allarga. E lui prova a fare gol da solo tra pali e prati verdi, gradinate e colori via via più brillanti. "Uno dei primi lavori di grandi dimensioni oltre i nostri confini, – racconta –, il Prater di Vienna. Allora era ancora in piedi la società con il francese". Ma cosa andate a fare a Vienna? Dissero i soliti scettici. "Portammo a casa un lavoro – la sua risposta ai menagramo –, era il 1993, da 3 miliardi e mezzo di lire. Ci siamo misurati con colossi tedeschi, concorrenti fortissimi. Li abbiamo sbaragliati. Il mio fiore all’occhiello? San Siro, abbiamo smontato 75mila posti. Nel 2008 abbiamo sostituito tutte le seggioline di Italia Novanta. Un lavoro immane, ci siamo guardati attorno nel silenzio dell’impianto prima d’iniziare. Faceva paura, poi siamo partiti a testa bassa". Un’altra bella rete. L’impresa è molto flessibile, sono una decina i dipendenti. Ma quando arriva la commessa si trasforma e diventa un gigante in grado di contare anche 40 dipendenti. "A Napoli – racconta – siamo andati avanti in tre turni giornalieri, dalle 6 del mattino alle dieci di sera. Quando abbiamo visto l’opera finita, abbiamo avuto l’impressione di aver fatto un miracolo". Un po’ come la ‘Mano de Dios’, quella rete che ancora fa discutere segnata nei quarti di finale del Mondiale 1986. Manca solo la ciliegina, il volto del pibe de oro nell’azzurro delle gradinate del San Paolo.