REDAZIONE FORLÌ

"Mobbing, un problema diffuso in ambito sanitario"

Caso Pedri, l’associazione dei medici e dirigenti italiani e il sindacato: "La legge prevede sportelli specifici, deprecabile scenario"

Il caso della dottoressa Sara Pedri, ginecologa scomparsa da Trento il 4 marzo scorso, "ha richiamato l’attenzione su un problema tanto diffuso quanto sommerso anche nell’ambito delle aziende sanitarie: il mobbing e il demansionamento". Questo il duro attacco di una nota ufficiale diffusa da Anaao Assomed (associazione dei medici e dirigenti sanitari italiani) e Cimo (sindacato dei medici) della Provincia di Trento.

"Al riguardo è significativo e suscita francamente preoccupazione il fatto che, pur essendo previsti dalla legge specifici sportelli deputati a raccogliere le denunce di tali problematiche lavorative, sportelli ai quali tutti i dipendenti possono rivolgersi anche in anonimato per rappresentare il profondo malessere che tali condotte ingenerano con gravi ripercussioni sulla vita (non solo professionale), essi non vengono utilizzati o lo sono solo in maniera del tutto marginale. Con il risultato che molti medici ’preferiscono’ andarsene (ben 11 dimissioni, e non certo per pensionamento, nell’arco di 2 anni nel reparto di ginecologia e ostetricia di Trento)". Undici medici che, però, stando a un’interrogazione del consigliere provinciale Degasperi sarebbero 19 e, stando alle testimonianze di alcuni professionisti, molti di più nell’arco sempre di pochi anni.

E ancora: "In questo deprecabile scenario ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. A cominciare dall’azienda sanitaria che in qualità di datore di lavoro è tenuta non solo a prevenire ma anche a reprimere fenomeni di sopruso, di discriminazioni arbitrarie, di condotte prevaricanti, di molestie o di emarginazione fino all’esclusione sui luoghi di lavoro, e tali da compromettere non solo la professionalità e la dignità del lavoratore ma anche la sua salute psico-fisica".

L’indagine interna dovrà verificare quanto riferito sia dalla famiglia di Sara sia da molti altri professionisti che, in forma anonima e non, hanno raccontato di simili condotte. Al netto di dinamiche tutte ancora da dimostrare, ciò che la famiglia della 31enne chiede è: se è vero che Sara stava visibilmente male, non dormiva più e non mangiava, perché non è stato attivato un protocollo di supporto, soprattutto in era Covid, e di assistenza psicologica? Non è forse previsto che i medici che hanno in cura dei pazienti, quando sono loro stessi in difficoltà, siano i primi ad essere adeguatamente monitorati e a ricevere aiuto?

s.d.