
L’ex rettore Pellacani "Modena liberata: io c’ero I partigiani carcerati ci recapitavano messaggi"
di Alberto Greco
Tra pochi giorni ricorrerà il suo 87esimo compleanno. L’anagrafe certamente non consente al professor Giancarlo Pellacani di essere stato protagonista nei giorni che accompagnarono la città al 22 aprile 1945, quando Modena venne liberata e le truppe americane e alleate coi partigiani attraversarono una via Emilia in festa. Ma Pellacani, tra il 1999 ed il 2008 rettore dell’università di Modena e Reggio Emilia, pur con gli occhi di bambino, conserva vivo il ricordo di cosa sono state le giornate che precedettero la Liberazione. Non quello raccontato dai libri di storia, ma quello "innocente" e incuriosito di chi si interroga per capire cosa accade.
Cosa ricorda professore di quei giorni?
"Ricordo innanzitutto una giornata di sole e che tutti quel giorno si sono riversati in piazza. Io abitavo di fronte al carcere di Sant’Eufemia, in via Bonacorsa e lì c’è stata battaglia fino alla fine. Tutto intorno via Carteria, via Canalchiaro, via Bonacorsa pullulava di partigiani che andavano su è giù per le scale dei palazzi per raggiungere tetti e terrazzi da cui sparavano mirando verso via Bonacorsa, dove c’era un presidio di secondini repubblichini del carcere. Qui si trovavano rinchiusi numerosi partigiani arrestati. Tutti i residenti stavano chiusi in casa".
Viveva in una zona molto calda.
"Noi abitavamo di fronte a una cella, l’ultima cella dell’ultimo piano a sinistra. Davanti c’era una sorta di finestra sporgente con una rete metallica. Da lì i carcerati vedevano in casa mia e spesso trasmettevano a mia madre indirizzo o messaggi che lei puntualmente andava in biciletta a recapitare a casa dei loro congiunti, informandoli che erano stati incarcerati, poiché i famigliari molto spesso non sapevano della sorte dei loro cari. Mia madre non era una staffetta partigiana, ma in quei gesti certamente era spinta da ragioni e motivazioni umanitarie".
In mezzo a tutti quegli spari cosa provava un bambino?
"Noi bambini ricordo a gruppetti di 4 o 5 andavamo a rubare le munizioni dei secondini del carcere, le smontavamo per farle scoppiare come micce. Era un gioco ma ci assaliva però la paura di entrambe le fazioni, anche se verso di noi tutti apparivano indulgenti".
La sua passione per la chimica è nata allora?
"Probabilmente è nata in quelle circostanze, da quel gioco di ragazzino"
Torniamo a quel giorno di 78 anni fa.
"Il 22 aprile non andai in piazza ma ci andai nei giorni immediatamente successivi, il 25 aprile, quando tutto finì. C’era tantissima gente anche armata con semplici fucili da caccia, perché probabilmente i partigiani in quel momento si sono moltiplicati e a quelli che avevano combattuto si erano mescolate tante persone che non c’entravano nulla e marciavano comunque col fucile da caccia in spalla, forse da qualcuno usato anche con altri fini".
Come era il clima tra la gente?
"Secondo me si cominciava a respirare in effetti un clima di libertà, anche se per un bambino è difficile comprendere fino in fondo quale sia il significato di questa parola, perché un bambino la libertà in fondo ce l’ha sempre. A lui basta andare a rubare un proiettile, basta poter combinare una marachella o fare un semplice gioco, sfuggire al controllo dei genitori… e si sente libero. Non è facile descrivere il clima che provava la gente, ma si percepiva anche con gli occhi di un bambino che qualcosa era cambiato, era cambiato improvvisamente qualcosa anche nel modo di festeggiare".