
La protesta dei dipendenti, nel 2019, ai tempi della liquidazione dell’azienda
Pesaro, 1 marzo 2025 – I dimenticati delle grandi crisi aziendali, quei figli di un Dio minore che il tempo ha nascosto sotto uno strato di polvere. E’ questo il caso di oltre trecento operai della ex Berloni mobili che da 13 anni ancora attendono di avere i soldi degli stipendi arretrati. Questo è quello che accade alla maggioranza dei dipendenti della nota fabbrica di cucine. Un grande e conosciuto brand che è tornato recentemente in vita perché il marchio è stato acquistato dal gruppo veneto "Arredissima". Logo acquistato in liquidazione spostando poi tutta la produzione in Veneto.
Un ’tormentone’ quello di questa azienda fondata dai fratelli Marcello e Antonio Berloni negli anni Sessanta del secolo scorso. Un impero dell’arredo conosciuto anche all’estero e finito in crisi nel 2013: tentativo di vendita fallito al gruppo sanmarinese Colombini, che aveva già inglobato la Febal, per visioni diverse tra i due fratelli fondatori. Un calvario poi terminato con la messa in liquidazione di tutti i beni, compresi quelli immobiliari: nel pacchetto, grandi capannoni ed anche la spettacolare villa Almerici, alle porte di Pesaro, a Candelara che ha visto anche la mano di un architetto di altissimo livello come il Vanvitelli, quello della reggia di Caserta. Grande dimora ancora lì, alla ricerca di uno... "sceicco".
Dall’altare alla polvere e nella polvere sono finiti soprattutto i dipendenti che a distanza di 13 anni ancora devono avere gli arretrati. "Non è una cosa giusta perché sono stati venduti molti beni, tra cui anche il corpo centrale della produzione che è stato ceduto ad un’altra fabbrica dell’arredamento per 4 milioni di euro – dice Maurizio Marinucci, ex dipendente –. Non sono tanti soldi quelli che dobbiamo ancora avere, perché stiamo parlando di arretrati che vanno dai 3500-4500 euro, ma in questo momento, non facile, fanno comodo a tutti. Aggiungo anche, perché manteniamo i collegamenti tra di noi ex dipendenti, che qualcuno ne avrebbe anche molto bisogno di quei soldi. Per carità, tutti gli ex dipendenti si sono poi sistemati trovando altri lavori, quasi tutti, perché quella della Berloni era una bella scuola. Ma non troviamo giusto che dopo 13 anni ancora non si riesca ad avere il dovuto. I sindacati? Ma sì, li abbiamo chiamati anche recentemente, ma è tempo perso perché non hanno risposte da dare e liquidano il tutto dicendo ‘noi cosa ci possiamo fare?’. Ci chiediamo che fine hanno fatto tutti i soldi che sono stati raccolti e incassati dalla vendita dei capannoni e degli immobili, ma soprattutto perché non è stato ancora dato il dovuto ai dipendenti della fabbrica. Non troviamo giusto tutto questo e per questa ragione non ci arrediamo. E qualcuno prima o poi, speriamo, ci dovrà anche dare una risposta".
Dai sindacati arrivano delle conferme ma le previsioni non sono ottimistiche: "E’ veramente una cosa ingiusta – dice Giuseppe Lograno della Cgil che ha seguito tutto il percorso della Berloni – che dopo tanti anni ancora i lavoratori debba avere anche degli stipendi arretrati. Possibile che siano trecento come hanno detto i dipendenti. Il problema è che l’indebitamento dell’azienda era molto alto anche perché andava male da tempo. Quindi i soldi che sono stati raccolti con la vendita dei beni non ha coperto ancora i buchi. Poi a tutto questo bisogna sommare anche il fatto che le procedure sono lunghissime, le stime fatte dei beni non si traducono spesso in realtà perché poi si realizza molto meno di quello preventivato. Ho la sensazione , ma spero di no – conclude Lograno – che alla fine questi stipendi arretrati diventeranno debiti inesigibili. E che quindi i 300 lavoratori non prenderanno un soldo. Una cosa profondamente ingiusta ma è così".