Racket delle salme Ravenna, un’impresa 'ribelle' ha innescato l’indagine

Le onoranze Zama, attraverso un investigatore privato, avevano riscontrato anomalie. Al vertice due sanitari e un impresario faentino

Lugo (Ravenna), 5 novembre 2022 - L’indagine aveva preso le mosse da Faenza, e in particolare dalla segnalazione del titolare dell’impresa funebre Zama, Ivano Ghirardelli, il quale aveva capito che nell’ambito dei servizi funebri qualcosa non tornava. In pratica aveva saputo che addetti alla camera mortuaria acconsentivano a svolgere, dietro pagamento, le attività di vestizione e tanatocosmesi delle salme in luogo delle ditte delle onoranze funebri, le uniche che in base a un nuovo regolamento del luglio 2018 erano invece deputate a fare ciò.

L’arrivo, ieri mattina, dei carabinieri all’obitorio di Lugo (Foto Zani)
L’arrivo, ieri mattina, dei carabinieri all’obitorio di Lugo (Foto Zani)

Era insomma emerso che addetti dell’Ausl alla camera mortuaria avevano intessuto con le ditte di onoranze funebri della zona un sistema dove i primi svolgevano, in orario di servizio, presso la camera mortuaria o le imprese funebri stesse, attività di competenza esclusiva delle seconde. Nel fare questo le ditte funebri avrebbero avuto molteplici vantaggi: prezzi agevolati per la vestizione, ricevere informazioni privilegiate sui decessi avvenuti in ospedale, evidente risparmio dei costi che altrimenti avrebbero dovuto sostenere per remunerare dipendenti ad hoc.

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Non solo, perché le imprese che non sottostavano a questo sistema, quindi Zama ma anche la municipalizzata Aser, diventavano vittime di una rigida applicazione del regolamento sulle vestizioni e di una complicazione delle normali procedure di accesso all’obitorio, vedendosi peraltro praticare, a carico del cliente, tariffe assai superiori. Il Ghirardelli aveva così dato incarico a una propria agenzia investigativa, la Diag Investigazioni, di svolgere approfondimenti. Il dossier che ne era derivato è stato il punto di partenza dell’indagine del Nucleo investigativo dell’Arma di Ravenna ed evidenziava una anomala frequenza di contatti telefonici tra due operatori d’obitorio e alcuni impresari funebri, in particolare Bruno Donigaglia e Franco Capozzi dell’AMF. Le indagini hanno successivamente attribuito a due operatori sanitari, Riccardo Pirazzini per l’obitorio di Faenza e Davide Gulminelli per quello di Lugo, il ruolo di figure apicali dell’organizzazione, spettava a loro il compito di coordinare i colleghi: su sette addetti di due obitori, soltanto uno che lavora a Lugo, I.G., è risultato estraneo in quanto si era ribellato a questo sistema. I due ’capi’, in buona sostanza, secondo l’accusa stabilivano in quale obitorio fosse meglio svolgere la loto attività, effettuavano i conteggi di quanto ricevuto dalle agenzie di pompe funebri suddividendo poi il ricavato (da qui l’accusa di associazione per delinquere), invitavano i titolari di agenzie funebri a offrire cene e regalie varie ai dipendenti degli obitori.

Sull’altro fronte, stando alle risultanze investigative, il terminale è stato individuato in Bruno Donigaglia, il quale richiedeva informazioni circa i recenti decessi, interveniva nella ripartizione delle salme tra le varie agenzie di pompe funebri, organizzava lo svolgimento dell’attività. Il Donigaglia, inoltre, beneficiava di contatti con due impiegate del Comune di Castel Bolognese, per acquisire di dati anagrafici dei defunti in anticipo, bruciando così la concorrenza. Gli altri addetti agli obitori provvedevano alla vestizione, in spregio a quanto previsto da un regolamento Ausl adottato proprio per prevenire questo fenomeno, di cui evidentemente si era già saputo, e si dividevano le somme; mentre le restanti pompe funebri consegnavano denaro o promettevano di farlo al fine di avere informazioni sugli avvenuti decessi.