
Andrea Casadei, presidente della sezione cesenate dell’Aia
Cesena, 14 marzo 2025 – Lo sport può essere la soluzione a tanti problemi, soprattutto per le nuove generazioni, che sudando in campo, qualsiasi sia il campo, possono irrobustire la pelle e soprattutto lo spirito attraverso la strada virtuosa che passa dalla pratica di corretti stili di vita. A patto che nessuno rovini l’alchimia. Purtroppo il rischio è tutt’altro che secondario. A febbraio c’era stato il caso di una mamma di una giocatrice di basket che durante una partita dell’under 19 aveva rivolto offese razziste a un’atleta avversaria, nei giorni scorsi un ragazzino durante una partita di calcio nel riminese aveva insultato l’arbitro cesenate.
“Il problema non può essere sottovalutato – commenta Andrea Casadei, presidente della sezione cesenate dell’Aia, l’associazione italiana arbitri - – prima di tutto per via della frequenza degli episodi. Dopo i recenti fatti, ci siamo confrontati tra presidenti delle varie sezioni Aia dell’Emilia Romagna e dunque parlo a nome di tutti dicendo che il quadro è generalizzato. E serio”.
Ci sono aspetti comuni?
“Quello più preoccupante riguarda i luoghi dove questi episodi si verificano e che sempre più spesso sono i campi di calcio dove giocano giovanissimi atleti. Non esagero dicendo che scorrendo le disposizioni dei giudici sportivi, i casi gravi sono costanti, praticamente ogni settimana succede qualcosa”.
Cosa accende la scintilla?
“Forse le troppe aspettative che ruotano interno a quello che a quell’età dovrebbe essere solo un divertimento. Ad alimentare la tensione sono i comportamenti sconsiderati di alcuni genitori o anche di certi dirigenti sportivi. Così si genera una tensione che inevitabilmente coinvolge chi sta giocando. L’ordine di grandezza è presto detto: su quattro ammonizioni legate a gesti di stizza, almeno tre sono fomentate da fattori esterni al gioco”.
E spesso l’arbitro ci finisce in mezzo.
“Nella sezione di Cesena siamo 160. Cominciamo a ‘coprire’ le partite che vanno dagli under 14 in avanti, che sono veramente tante. Chi decide di prendere un fischietto lo fa perché mosso dalla passione per questo ruolo, una passione che nell’interesse di tutti servirebbe coltivare. Invece spesso si va nella direzione opposta”.
Arbitri e giocatori sono quasi coetanei?
“Accade di frequente. Immaginate un ragazzino che si trova al centro di un marasma di insulti e gesti aggressivi. C’è chi usa toni minacciosi, chi addirittura arriva alle mani. Ricordo sempre che colpire un minorenne non è un gesto di poca cosa. Non soltanto in ambito sportivo”.
Dunque cosa servirebbe fare? “La prima cosa è evitare di generalizzare. Ci sono società sportive virtuose, con le quali abbiamo ottimi rapporti, fatti di incontri formativi e di rispetto reciproco. Poi ci sono gli allenatori e i dirigenti che in più occasioni dimostrano fair play”.
Nei campionati senior com’è la situazione?
“Pure tra i professionisti, compreso il mondo della serie A si verificano casi eclatanti, che di certo non sono un buon viatico per tutti gli appassionati che seguono il calcio e si immedesimano nei loro idoli, svenendosi magari autorizzati a ripeterne i comportamenti, compresi quelli più scorretti”.
Il problema non ha età.
“Sì, ma torno al punto. Le reazioni che possono scattare in una partita di seconda categoria sono meno esacerbate rispetto a quelle dei settori giovanili. E’ questo l’aspetto che ci preoccupa di più”.
E’ una strada senza uscita?
“C’è sempre spazio per invertire la rotta. Purtroppo però l’Emilia Romagna è la terza regione in Italia come numero di episodi negativi registrati. Nel Lazio per mandare un segnale è stata indetta una ‘giornata di riflessione’ fermando per una domenica i campionati dall’Eccellenza in giù. Non vogliamo arrivare a questo, ma l’ipotesi resta. Il punto è che in tanti, troppi, considerano il campo come una zona franca, nella quale sfogare la propria frustrazione. C’è sempre chi vince e chi perde. Imparare a perdere, insegna a vincere. Serve partire da qui”.