Covid, un anno dopo: terapie intensive vuote. "Grazie ai vaccini possiamo vincere"

Trenta malati gravi: 12 mesi fa erano il triplo. Il professor Viale: "Chi non si immunizza sostiene indirettamente un omicidio di massa"

Covid Emilia Romagna: due anni a confronto

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Bologna, 24 ottobre 2021 - Guardare avanti in genere porta sempre a un risvolto positivo, ma ci sono anche momenti da non dimenticare per apprezzare il cammino percorso.

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Il professor Pierluigi Viale
Il professor Pierluigi Viale

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Professor Pierluigi Viale, come affrontava le giornate un anno fa? "Lo scorso ottobre finiva la grande lusinga dell’estate 2020, quando ci eravamo illusi che tutto fosse concluso e invece stavamo per risprofondare nell’incubo. A me e a tanti altri la seconda ondata Covid è costata molto anche in termini di risorse personali", risponde il direttore dell’unità operativa interaziendale di Malattie infettive che comprende Sant’Orsola, Ausl di Bologna, Rizzoli e Ausl di Imola. Quindi passava più tempo in ospedale che a casa? "Allora come adesso peraltro: la partita non è ancora finita. Ma quei giorni sono stati una prova durissima per le nostre famiglie". Come mai la fase due della pandemia è stata più pesante? "Perché stavamo ricominciando a interrogarci su come e dove trovare posti letto e risorse per gestire la marea montante dei contagi, senza interrompere le attività assistenziali per gli altri pazienti". Quale è stato il giorno più difficile? "Quando a metà ottobre siamo arrivati a mille infettati nel giro di 24 ore". Eravate costretti ad aumentare progressivamente i letti Covid. Ha mai pensato di non farcela? "No, di non farcela mai, però assistere i tanti malati Covid cercando di tenere attive molte altre attività per evitare i danni indiretti osservati nella prima ondata, quando tanti hanno perso tempo prezioso per curare le loro malattie, sembrava una mission impossible ". Ci siete riusciti? "In larga parte sì. Ma con grandi difficoltà organizzative ed elevato stress personale e tutt’ora scontiamo un allungamento inevitabile delle liste di attesa".

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Quali erano le difficoltà più rilevanti? "Nella prima ondata c’era stata una reazione eroica da parte di tutti. I cittadini avevano accettato il lockdown e stavano chiusi in casa, gli ospedali si dedicavano quasi solo al Covid e tutti, sanitari e non, erano pronti a dare una mano. Nella seconda ondata, invece abbiamo lavorato più calati nella realtà, sommando il Covid alle altre problematiche cliniche, gestionali e personali, con una città che non aveva più voglia di rimanere rinchiusa e le persone si erano abituate alla paura". Quanto ha visto il primo spiraglio? "Dopo ottobre, novembre e dicembre, i tre mesi più estenuanti, a gennaio si è aperta la porta della speranza con l’arrivo del vaccino e i formidabili risultati dei trials clinici". Come vive questo periodo? "Con una serenità diversa rispetto a un anno fa. Ora sappiamo che possiamo sconfiggere il virus se riusciamo a convincere il 95% della popolazione a vaccinarsi. Allora pensavamo di dover essere noi medici la chiave di volta per vincere la partita contro il Covid, oggi abbiamo capito che è una responsabilità di tutti e chi rinuncia all’arma del vaccino deve assumersi la responsabilità di sostenere indirettamente un omicidio di massa. In Italia sono morte quasi 132mila persone, troppe per temere che siano scomparse invano". Che cosa pensa dei medici che vengono sospesi perché non immunizzati? "Non capisco come possa rinunciare al vaccino, in un’emergenza mondiale, chi ha fatto il giuramento di Ippocrate". Si sottoporrà alla terza dose? "L’ho già fatta".