Covid, com'è cambiata la pandemia in due anni: "Con le pillole ci si cura anche a casa"

Svolta vicina. L’esperto, Carlo Biagetti: "Abbiamo già trattato decine di casi a domicilio grazie alle nuove pillole". Ecco come vengono somministrate

Carlo Biagetti responsabile malattie infettive Ausl Romagna primo vaccinato

Carlo Biagetti responsabile malattie infettive Ausl Romagna primo vaccinato

Forlì, 1 marzo 2022 - Carlo Biagetti è dirigente dell’unità operativa di Malattie Infettive a Rimini e responsabile del Programma per la gestione del rischio infettivo e uso responsabile degli antibiotici dell’Ausl Romagna: da alcune settimane i pazienti positivi al Covid-19 – 25 i trattamenti previsti a Forlì-Cesena – si stanno curando col farmaco antivirale Molnupiravir.

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Biagetti, come stanno andando le cose? "Fortunatamente parliamo di numeri molto piccoli, visto che la curva dell’infezione è in netta riduzione. Per avere un quadro più preciso dovremo aver trattato 30-40 pazienti. Detto questo, la vaccinazione è di gran lunga l’atto preventivo migliore di fronte ai casi più gravi, mentre i farmaci anti-Covid sono un’arma in più per le forme lievi e moderate". Dal punto di vista pratico, la somministrazione di questi farmaci avviene a casa del malato? In questi giorni si è aggiunto anche il Paxlovid. "Sì, la gestione è domiciliare. Essa si aggiunge alla terapia monoclonale e un paio di antivirali in compresse che vengono somministrati sempre a casa del paziente. Non è una pillola magica, ma uno strumento in più da usare contro il Covid". Tutto questo è in carico al personale delle Usca, le unità dell’azienda sanitaria che si occupano delle cure a domicilio? "Sì. Partiamo dal fatto che abbiamo regole determinate dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, poi ogni ambito territoriale trova la forma organizzativa più idonea".

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Chi individua i pazienti da curare con il farmaco anti-Covid a domicilio? "Tutto parte dal medico di base, che intercetta il paziente in modo rapido con un tampone antigenico o un molecolare rapido. Paziente che, ripeto, presenta una forma lieve o moderata del virus". Parliamo di persone non vaccinate? "I casi più frequenti sono due: non vaccinati e persone che non hanno avuto risposte dalla vaccinazione. Per poter ricevere il farmaco devono avere anche determinati fattori di rischio che potrebbero portare a uno sviluppo critico della malattia. Ad esempio: obesità, malattie oncologiche, insufficienza renale, patologie dell’apparato cardiovascolare, diabete, situazioni di grave immunodeficienza". Poi? "Il medico invia con una mail la candidatura del paziente a questo tipo di cura all’infettivologo. Siamo noi che, sette giorni su sette, valutiamo le richieste. Prendiamo come esempio il Paxlovid: non può assumerlo chi soffre di insufficienza renale; dobbiamo tenere conto della sua interazione con altri farmaci. Una volta completato il quadro, mandiamo una mail alla farmacia dell’ospedale e ai medici delle Usca". E a quel punto la persona può iniziare a curarsi? "Sì. Il Paxlovid va assunto ogni 12 ore per cinque giorni. L’importante è la velocità di intervento: prima si fa la diagnosi, prima si interviene. E meglio è per il paziente. Noi riusciamo a somministrare la terapia nel giro di 24-48 ore. Aggiungo, come opinione personale, che nell’ottica di un potenziamento della medicina territoriale in futuro dovrebbero essere i medici di base a gestire la somministrazione". Effetti collaterali di rilievo? "Può provocare nausea e vomito". Quante sono le richieste che arrivano ogni giorno? "Guardi, settimane fa nel Riminese ne arrivavano 10-15 al giorno. Oggi sono ridotte a una o due".