
Vigili del fuoco ancora impegnati in via De Nicola, a Bellocchi, dove un capannone di 15mila metri quadrati della Carbon Line è andato distrutto
di Tiziana PetrelliLa voce arriva spezzata dal telefono, lenta, come se ogni parola pesasse. "Sto bene, sto bene. Ho raccontato già tutto alla polizia. Non ho da aggiungere altro. Adesso stavo riposando. Ciao". Frederick, l’operaio camerunense di 30 anni rimasto ferito nel rogo della Carbon Line, ci liquida così. In quelle poche sillabe c’è il ricordo ancora vivo di quegli interminabili minuti tra le fiamme, il fumo che brucia gli occhi e la pelle, la corsa per spegnere il rogo armato di una semplice manichetta antincendio e poi quella fuori - ferito - per salvarsi.
Anche il titolare Michele Pierleoni resta muto. Abbiamo provato a parlare con lui più volte: al telefono e via Sms nessuna risposta. E silenzio è anche il project manager Giovanni Piscopo, se non per un commento rapido, quasi sottovoce: "Oggi forse è peggio di ieri, ma dobbiamo andare avanti, cercheremo di capire come". Ieri Pierleoni, figura chiave dell’azienda, titolare e unico responsabile, non ha risposto nemmeno alle chiamate di quel suo braccio destro. Ha parlato solo con la polizia che da quasi 48 ore continua a scavare nella verità. Indagini serrate, interrogatori, ricostruzioni minuto per minuto di quella mattina in cui la nube nera si è alzata sopra Bellocchi da quei 15mila metri quadri andati in fumo in via De Nicola.
La situazione è grave, sotto tutti i punti di vista. Ambientale, umano, economico, lavorativo. Perché dal mezzogiorno di lunedì, le sirene dei vigili del fuoco non hanno cessato di squarciare l’aria. In turni senza sosta di squadre provenute in soccorso da tutta la regione, hanno avanzato metro dopo metro, con il rombo dei mezzi di supporto a fare da sottofondo. Dall’alto, i droni con termocamera trasmettevano immagini in diretta, guidando i getti di schiuma antincendio nei punti più critici. Dal suolo, due robot cingolati arrivati da Bologna e Perugia si sono infilati tra i detriti incandescenti, là dove la temperatura e i rischi erano troppo alti per gli uomini.
In queste ore frenetiche, sul piazzale annerito, tra odore acre di vetroresina e metallo bruciato, sono arrivati il direttore regionale dei vigili del fuoco delle Marche, il comandante provinciale e il sindaco di Fano. Hanno osservato da vicino la distesa di macerie fumanti, mentre all’interno del capannone l’acqua nebulizzata avvolgeva ogni cosa in una nebbia lattiginosa. Braci ostinate hanno continuato a mordere il cemento per tutta la notte. E anche ieri tante squadre di pompieri si alternavano per spegnere gli ultimi focolai e raffreddare la struttura, consapevoli che la messa in sicurezza sarà lunga.
Fuori da quell’inferno, intanto, si attende l’esito delle analisi dell’Arpam. Il sindaco Luca Serfilippi ha tagliato corto: "Nessuna novità". Ma la politica si è già mossa. Samuele Mascarin, consigliere comunale di minoranza, ha depositato un’interpellanza urgente per conoscere la lista delle sostanze disperse nell’aria e la loro entità, sapere se ci siano rischi per la salute dei cittadini, se siano stati eseguiti controlli anche su suolo e acqua e quali protocolli di sicurezza seguisse la Carbon Line. "Prevenzione e trasparenza – dice – non sono un lusso, ma un dovere", ha concluso, senza mancare di esprimere gratitudine a soccorritori e forze dell’ordine e solidarietà ai lavoratori, diretti e indiretti, colpiti dalla vicenda. Intanto, restano in vigore le disposizioni prudenziali dettate dall’ordinanza del sindaco: finestre chiuse e impianti di condizionamento spenti.