SIMONETTA GIUNCHI *
Cronaca

Non parlano, agiscono. E forse la loro ‘malattia’ è l’incertezza del futuro

Chi ha letto Dickens sa che le baby gang sono sempre esistite e che sono il frutto di disagio e...

Chi ha letto Dickens sa che le baby gang sono sempre esistite e che sono il frutto di disagio e disperazione. Sono un sintomo specifico, come la febbre, che ci indica che qualcosa non va e che dobbiamo indagare. Sono il sintomo di una malattia più o meno grave, ma il corpo che ne è colpito, non è tanto quello dei ragazzi, è la società nel suo complesso che ha qualcosa che non va.

Non sono una sociologa, non è mio compito indagare qual è l’origine della malattia sociale, né se sia più o meno grave. Come clinica il mio compito è quello di spiegare come funziona la malattia, che organi coinvolge. Donald Winnicott, pediatra psicoanalista del secolo scorso, già negli anni ’50 spiegava quanto i comportamenti devianti degli adolescenti dovessero essere letti come un segnale d’allarme del loro disagio.

Perché proprio nei comportamenti? Perché gli adolescenti spesso non sanno ascoltarsi né dispongono delle le parole per descrivere il loro malessere e di conseguenza usano le azioni per esprimerli, azioni che non sono conseguenza di una riflessione, ma sono impulsive ed esplosive. Molti sono gli approcci che spiegano il funzionamento della psiche.

Per aiutare a comprendere il fenomeno prendo come riferimento la Narm, il Modello Relazionale NeuroAffettivo di Laurence Heller che meglio di altri mi aiuta a spiegarvi il ruolo dell’autoregolazione consapevole che richiede la connessione tra le parti organizzate e funzionali del Sé. Quando le parti del Sè sono disorganizzate e disfunzionali e la connessione con le emozioni e il corpo è parziale se non nulla, la psiche si organizza secondo uno stile che la Narm chiama di sopravvivenza. Sopravvivere non è esistere, dunque capite bene che la persona, in questo caso l’adolescente, fin dalle sue prime relazioni organizza la sua personalità e le sue difese per sopravvivere come può nell’ambiente in cui si trova.

Lungi da me la volontà di giustificare questi atti che sono intollerabili; per poterli arginare con mano ferma, come è richiesto, bisogna capire qual è la minaccia che scatena reazioni di difesa. La nostra natura animale è strutturata in modo da dare, attraverso il suo sistema simpatico, risposte immediate e istintive tipo attacco, fuga o congelamento davanti a ciò che viene percepito come pericolo. Un adulto può governare questi istinti con la razionalità e l’esperienza, difficile da incontrare in un adolescente. Se questi comportamenti antisociali sono il frutto della percezione di una minaccia, bisogna cercare di capire qual è questa minaccia e il modo di eliminarla.

Dalla mia esperienza di clinica vedo che uno dei problemi principali di ansia e sconforto è l’incertezza del futuro. Sicuramente non è il solo motivo e non lo è per tutti, ma suggerisco di evitare quello che Gian Maria Volonté nei panni del commissario in ‘Un cittadino al di sopra di ogni sospetto’ dice ai suoi sottoposti: "Ad altri il compito di educare, a noi il potere di reprimere".

psicologia e psicoterapeuta