Omicidio di Civitella, Daniele Severi si difende: "Sono stato incastrato. I guanti insanguinati? Messi lì dai carabinieri..."

Sentito in aula l’imputato, accusato di avere ucciso e decapitato il fratello Franco. "E anche quella gocciolina di sangue sulle mie scarpe... Sembra fatta col cotton fioc..."

Daniele Severi mostra alla Corte una sua scarpa simulando ciò che avvenne (foto Salieri)

Daniele Severi mostra alla Corte una sua scarpa simulando ciò che avvenne (foto Salieri)

Forlì, 6 febbraio 2024 –  Franco Severi, 53 anni, agricoltore, viene trovato decapitato (la sua testa non è mai stata rinvenuta) la sera del 22 giugno 2022 in un dirupo dietro al fondo agricolo dove abitava da solo, a Ca’ Seggio di Civitella. A processo per omicidio volontario aggravato, in Corte d’Assise, c’è ora il fratello Daniele, 64 anni, di Meldola, autista del 118 in pensione, residente a Meldola.

Secondo la procura Daniele avrebbe ammazzato Franco per ragioni legate all’eredità del fondo agricolo. Lo avrebbe prima ucciso usando una pistola – ma di armi non a Daniele non ne sono mai state trovate – e poi decapitandolo. Daniele è in carcere preventivo dall’8 luglio 2022. In base al calendario del processo, da questo momento in poi scenderanno in campo i testimoni della difesa, che in tutto sono oltre 40. Nella prossima udienza, fissata per il 22 febbraio, verranno sentiti dieci testi della difesa di Daniele Severi. Successive tappe già delineate: poi 7, 14, 21, e 28 marzo.

Con la faccia filmica stampata su una pellicola anni Cinquanta, concentrato e reattivo anche dopo le sue otto ore di deposizione, l’imputato Daniele Severi – giacca, camicia e golfino – risponde alle domande del pm, Federica Messina, e della parte civile, Max Starni, e rimarca con foga la sua estraneità ai fatti (cioè l’omicidio del fratello Franco); ma le sue parole d’innocenza, quelle stesse parole, vengono trattate dalle sponde avverse col verbo della colpevolezza. Come per i guanti. Che è la prova concreta più pesante che la pubblica accusa ripone nella bilancia di questo processo. Guanti intrisi del sangue della vittima ritrovati nella Panda dell’imputato.

La pm Messina, dopo due ore di domande soft sulla storia e la dinamica famigliare della dinastia Severi – dall’infanzia fino ai primi anni Dieci – allunga la staffilata: "Signor Severi nella sua auto durante le indagini preliminari sono stati trovati i guanti di suo fratello Franco, col sangue di suo fratello Franco… Come mai quei guanti erano nella sua auto?".

Daniele non si scompone. Solo un ghigno sporge sul volto: "Adesso glielo spiego…" abbozza l’imputato sullo scranno del testimone, di fianco ai giudici popolari. "Quei guanti… non so come sono finiti lì…"

La pm non vedeva l’ora di questa replica: "Ok, ma quindi come ci sono finiti nella sua macchina?". "Io questo non lo so. Quel giorno io me lo ricordo bene… Ho visto questo carabiniere del Ris che s’è avvicinato alla mia macchina… Aveva la mano sinistra chiusa… Poi s’è diretto sul vano motore… Poco dopo questo carabiniere ha alzato quella mano e aveva i guanti…".

La pm Messina di controbalzo stimola ancora l’imputato–testimone: "E qual è stata la sua reazione?". Daniele non si lascia pregare: "Io quei guanti non li avevo mai visti… E allora ho detto ai carabinieri: ’Questi guanti glieli avete messi voialtri!’…". Il punto è una linea di demarcazione. I guanti sono il pernio della pubblica accusa. E infatti poco dopo anche l’avvocato Max Starni, come parte civile, torna a pigiare sul tasto.

"Ma per quale motivo un ufficiale del Ris avrebbe messo dei guanti nella sua auto?". "Questo non lo deve chiedere a me, lo chieda ai Ris avvocato!". Starni non si ferma. Fino a portare Daniele a rispondere a una domanda ultimativa: "Signor Severi, quindi noi siamo qui in questo processo per omicidio perché lei sarebbe stato incastrato dalle forze dell’ordine?". "Sì, è così: sono stato incastrato!".

La stessa pm Messina, nel suo interrogatorio della mattina – quasi tre ore e mezza – aveva spinto Severi ad adombrare la tesi del complotto, facendo raccontare a Daniele altri episodi di vita vissuta. Un incidente stradale con un mezzo di Alea: "Mi fecero un agguato" dice Severi. O quella volta in cui Daniele temeva che la sorella Milena, infermiera in ospedale, potesse avvelenarlo mentre doveva era in sala operatoria: "Poteva scambiare l’ossigeno durante l’operazione…". La pm vira allora su quella che l’accusa considera l’altra prova decisiva del procedimento, ossia il sangue di Franco sulle scarpe di Daniele. Un puntino ematico rappreso sul fianco della scarpa, anche quello rinvenuto dai Ris pochi giorni dopo l’omicidio.

"Un carabiniere si è avvicinato a me e mi ha fatto togliere la scarpa sinistra dicendo che c’era sangue… così...". Daniele in aula si toglie la sua scarpa, simulando l’episodio. E poi va avanti: "Ma come ha fatto il carabiniere a capire che c’era del sangue?", si chiede l’imputato.

Anche in quel caso sarebbe un complotto? Daniele prosegue nel suo flusso: "Io ci ho pensato spesso in carcere… e ho immaginato che quella macchiolina sembrava proprio messa lì con il cotton fioc da qualcuno...".

La versione complottarda di Daniele solletica stavolta la giudice Monica Galassi: "Lei si rende conto che queste accuse sono al limite della calunnia?". Daniele replica pronto e ci mette una pezza: "Il dubbio comunque mi resta...". Poi però le sue risposte sono una distesa di "non ricordo". Il suo tono resta deciso, ma la chiarezza svanisce.

La pm Messina lo incalza sul giorno del delitto: "Lei dov’era? Perché la sua auto è stata vista verso Civitella…". "No io il 21 giugno 2022 non sono andato a Civitella, anche perché il bar di martedì è chiuso". "Eppure ci sono movimenti della sua auto" fa la pm. Daniele: "Impossibile".

Poi si torna poi su quelle telefonate che la moglie gli fece all’una e mezza di notte, tra il 21 e il 22 giugno. Perché quelle telefonate? "Non lo so perché mia moglie le fece". "Ok ma lei dov’era?", chiedono accusa e parte civile: "Facevo dei lavori alla macchina, prima nel magazzino in via Maglianella poi nel garage di casa mia…". Ma le ombre su questo episodio si raggrumano. Pure la giudice Monica Galassi chiede chiarimenti. Anche perché sul punto la moglie mentì ai carabinieri.

"Non so perché mia moglie mi abbia chiamato e non so perché poi abbia mentito ai carabinieri… tra l’altro quella sera ci vedemmo con mia moglie quando tornai a casa…". Particolare, quest’ultimo, mai emerso. Che sorprende non poco la Galassi. Ma su sul tratto Daniele non chiarisce: "Non so perché mia moglie non disse che ci vedemmo quella notte…".