MARCO BILANCIONI
Cronaca

Gianluca Pini arrestato, l’affare delle mascherine e le carte dell’inchiesta: “Le certificazioni erano false”

Marzo 2020: a inizio pandemia, l’ex parlamentare firma un contratto da 6 milioni di euro con l’azienda sanitaria. Interrogato in carcere, il legale: “Ha respinto tutte le accuse”

L'ex parlamentare Gianluca Pini era punto di riferimento della Lega di Bossi in Romagna: ora è coinvolto nella maxi inchiesta legata all'emergenza Covid

L'ex parlamentare Gianluca Pini era punto di riferimento della Lega di Bossi in Romagna: ora è coinvolto nella maxi inchiesta legata all'emergenza Covid

Forlì, 23 giugno 2023 – “Mascherine facciali a tre veli", poi anche Ffp2. Per la cifra di 3 milioni 592mila euro, con tre diversi bonifici rispettivamente da 1 milione, 2,1 e per finire 428mila euro. Così l’Ausl Romagna ha pagato Gianluca Pini e la sua società Codice, con sede a Fusignano ma operativa a Forlì, di cui l’ex parlamentare amministra l’attività di import/export.

Siamo fra il 16 e il 27 marzo 2020: occorre tornare con la memoria a quei terribili momenti. Sono i primissimi giorni di lockdown (iniziato l’8 marzo). Uno dopo l’altro arrivano i primi ricoveri per Covid-19. Dagli ospedali sale un grido di dolore: mancano mascherine, medici e infermieri affrontano il virus che attacca le vie respiratorie praticamente a volto scoperto.

L’Ausl cerca in maniera pressoché disperata dispositivi di protezione. Idem le farmacie. E alcune aziende. Le carte dell’inchiesta annotano che già tre contratti sono stati disdetti perché il privato non è riuscito a trovare mascherine per la sanità pubblica.

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Finché arriva Gianluca Pini, la figura chiave dell’inchiesta forlivese, ora in carcere a Ravenna con le accuse di truffa aggravata e continuata, falso, ricettazione, frode in commercio e corruzione. Interrogato in carcere dal Gip, ha respinto tutte le accuse. 

L’Ausl è – secondo i pm – "indotta in errore", anche dall’assoluta necessità di comprare i dispositivi per naso e bocca. Il 16 marzo viene stipulato l’accordo con Pini. Un appalto da 6 milioni di euro complessivi. Mezzo milione di mascherine arrivano il 2 aprile; altre 668mila il giorno dopo; 792mila l’8 aprile; un milione il 14; 990mila due settimane dopo, il 28; 60mila perfino il 10 giugno, più 180mila Ffp2. Complessivamente oltre 4 milioni di protezioni.

"Lo Stato aveva chiesto a chi poteva di impegnarsi a trovarle. Così abbiamo fatto dietro richiesta di Ausl e Corofar", ovvero il magazzino delle farmacie: così dichiarava Gianluca Pini sul Carlino del 3 dicembre 2021, quando per la prima volta si parlò dell’inchiesta della procura di Forlì. Ancora senza i dettagli più esplosivi, ovvero il coinvolgimento di varie persone. "Siamo stati gli unici, in tempi ridottissimi". L’accusa di frode? "I prodotti sono stati certificati, testati, validati e ricontrollati".

Per i pm di Forlì non è così. Pini si sarebbe definito "persona di comprovata esperienza, conoscenze, idonee capacità professionali e know-how tecnici e cognizioni necessarie". Secondo l’accusa, però, non si era mai occupato di dispositivi medici (su questo aspetto, ci fu anche un’interrogazione in consiglio comunale a Ravenna): l’indicazione di "articoli medicali" nel codice della sua società sarebbe stato inserito proprio il 16 marzo, il giorno in cui firma il contratto con l’Ausl. Accordo scritto da lui, sostiene la procura, e poi sottoposto all’azienda sanitaria per la firma.

Nelle carte dell’inchiesta ci sono diversi passaggi in cui Pini dialoga con un interlocutore in Oriente, istruendolo sulle certificazioni necessarie. Sotto due aspetti: primo, i requisiti sanitari richiesti dall’Ausl; secondo, quelli per il vaglio della Dogana (che è un altro importante filone dell’inchiesta). In ogni caso, per i pm, "i documenti erano falsi", "assolutamente privi di rilevanza giuridica", aspetto del quale "Pini era consapevole". Mentre per l’Ausl era così "difficoltoso", e i tempi "molto stretti", la necessità "impellente" che l’azienda non riusciva a evitare la truffa. I pm sottolineano piuttosto una conseguenza: i responsabili "non si curavano né della salute pubblica né di quella degli operatori sanitari destinatari della merce".

La difesa

Pini è stato il primo ad essere interrogato, oggi e per quasi tre ore, in carcere, a Ravenna, dove si trova da ieri mattina, mentre Minenna, finito ai domiciliari, sarà ascoltato il prossimo 28 giugno. Quasi tutti gli interrogatori si svolgeranno la prossima settimana. “Il mio assistito ha risposto a tutte le domande e si è difeso dalle contestazioni della Procura. Ha spiegato che è stata l'Ausl Romagna a cercarlo, tramite un funzionario che è un amico d'infanzia - ha spiegato il legale di Pini, Carlo Nannini - per reperire delle mascherine che erano introvabili, e allora lui ha attivato i buyer che conosceva grazie al suo lavoro di imprenditore. A quel punto è stato stipulato un accordo quadro e la documentazione delle mascherine è stata accertata dalla stessa Ausl, infatti le mascherine sono state utilizzate senza problemi. Solo in seguito, sostiene la stessa Procura, si è scoperto che erano incongrue”.