Sara Pedri, il processo decolla. La sorella: “La verità è vicina”

Sentita in tribunale per ore la viceprimario dell’ospedale di Trento. Ha negato che ci sia stato mobbing nei confronti della Pedri. "Ma tante colleghe sostengono il contrario, io sono fiduciosa"

Sara Pedri insieme alla sorella Emanuela

Sara Pedri insieme alla sorella Emanuela

Forlì, 19 marzo 2024 – Nuova udienza preliminare ieri in tribunale a Trento sui presunti maltrattamenti nel reparto di ginecologia dell’ospedale Santa Chiara. Un procedimento scattato a seguito di una lunghissima indagine scatenata dalla scomparsa della ginecologa forlivese Sara Pedri, 31 anni, svanita nel nulla il 4 marzo 2021 a Cles, in Trentino, regione in cui la dottoressa era in servizio. Il corpo di Sara non è mai stato ritrovato; per gli inquirenti – stando ai resoconti dei messaggi telematici di Sara a parenti e amici – la 31enne forlivese si sarebbe tolta la vita a seguito del presunto mobbing subìto in corsia dai suoi superiori, gettandosi nel lago di Santa Giustina. Sotto accusa ci sono l’ex primario di ginecologia dell’ospedale di Trento, Saverio Tateo, e la sua vice Liliana Mereu, accusati di maltrattamenti in concorso e in continuazione. Nell’udienza di gennaio si sono incardinate tutte le parti civili, tra cui la madre di Sara, assistita dall’avvocato Nicodemo Gentile. Le difese degli imputati avevano chiesto il rito abbreviato: sul punto il giudice s’è riservato di decidere. Per la prima volta da quando è scattata l’inchiesta, ieri uno dei due imputati ha parlato davanti a un giudice: la dottoressa Liliana Mereu, rispondendo alle domande delle parti, ha negato che nell’ospedale di Trento si siano mai consumati maltrattamenti sul lavoro. Il 19 aprile verrà sentito Tateo.

Emanuela, la sorella di Sara Pedri, si batte senza sosta. Come un cuore pulsante, Emanuela non si ferma mai per mantenere vivo il cuore della sorella. Lei non compare, ufficialmente, nei ’crediti’ del processo (c’è sua madre come parte civile); ma senza Emanuela, tutta questa trama giudiziaria, forse, sarebbe rimasta inespressa. Da Forlì Emanuela ha rintracciato una a una, fissandole negli occhi, le colleghe di Sara, convincendole che la verità, così vana e volubile nella realtà quotidiana, nella tragedia, come quella di Sara, può invece assumere una forma solida, unica. Così s’è generato tutto. Così le colleghe di Sara hanno parlato. Amesso i presunti abusi in corsia. Presunti abusi che avrebbero portato Sara al gesto estremo, il 4 marzo 2021, a Cles.

Emanuela, il processo è finalmente partito. Un prima vittoria?

"Io temevo di non arrivarci nemmeno a questo punto. E invece siamo qua. Ed è sicuramente postivo".

Ieri la dottoressa Mereu è stata sentita in aula per diverse ore. E ha negato che ci siano mai state azioni di mobbing nei confronti di qualcuno in ospedale a Trento. Sostenendo poi tra l’altro che con Sara lei ha lavorato pochissimo. Qual è nel merito la sua posizione?

"Beh sì è vero Sara ha lavorato pochissimo con la dottoressa Mereu. Ma non conta la quantità di tempo, io credo. Comunque non voglio commentare la deposizione della dottoressa Mereu. Lei ha la sua verità, io ho la mia. Vedremo che dirà il giudice".

Le professioniste colleghe di Sara coinvolte in questo caso, alcune delle quali si sono presentate parte civile nel processo, si sono evidentemente fidate di lei. Come le ha convinte?

"Non lo so, ho detto loro solo la verità, raccontando com’era la mia Sara. Sì, evidentemente si sono fidate. Hanno deciso di farsi sentire. Questa cosa la sento come una presa di coscienza collettiva. Tutte si sono messe insieme, con la forza del coraggio. Già questo è un esempio da rimarcare, anche da un punto di vista sociale"

Lei ha fiducia che questo processo trovi una via di giustizia in memoria di Sara?

"Ho fiducia, certo. Un verdetto a noi favorevole sarebbe un messaggio forte. E servirebbe da amplificatore, da esempio per tutti e, nello specifico, per tutte le donne che sul lavoro si sentono vessate o non valorizzate come dovrebbero".

Dal dottor Tateo o dal suo avvocato non avete mai ricevuto alcun cenno di vicinanza?

"No, mai. Chissà, forse arriverà alla fine di questo processo. Io e mia madre siamo serene. Siamo disposte al confronto dialettico, all’accoglienza. Noi ci siamo rese più volte disponibili a un dialogo. Ma non c’è stata alcuna risposta dalla controparte".

Le ricerche del corpo di Sara si sono invece completamente fermate?

"Purtroppo sì. Anche perché dopo più di tre anni si farebbe fatica a trovare qualcosa. Certo, i vigili del fuoco di Trento, coi quali resto in contatto, mi dicono sempre che manterranno alta l’attenzione in caso di avvistamenti. Ma purtroppo questa del corpo di Sara, che non c’è più, è una ferita destinata a restare aperta. Però Sara continua a vivere non solo nei nostri cuori ma nelle centinaia di testimonianze che ogni giorno ci arrivano sulla sua pagina facebook".

Lei è la presidente della neonata associazione Nostos, contro il mobbing. Cosa si aspetta da questa nuova avventura?

"Che si prenda consapevolezza e coscienza su certe gravi situazioni. In nome di Sara".