Corinaldo, Andrea Cavallari nega responsabilità sui morti

Bocca cucita, invece, sulle rapine nelle discoteca di mezza Italia. Il ritratto del clan: passato da bulli e tenore di vita sospetto

Andrea Cavallari e i soccorsi dopo la strage alla Lanterna Azzurra

Andrea Cavallari e i soccorsi dopo la strage alla Lanterna Azzurra

Modena, 5 agosto 2019 - "Non ho niente a che fare con i fatti di Corinaldo. Non ho spruzzato lo spray e non ero in contatti con gli altri ragazzi. Sono entrato in quella discoteca dieci minuti prima della tragedia". Sono riassumibili in questi termini le dichiarazioni rese oggi in carcere a Genova, dove è stato arrestato mentre era in ferie, da Andrea Cavallari, ventenne residente nella Bassa Modenese. Non è solo uno giovani in manette, è anche sospettato di essere uno dei due capibanda della gang che aveva ruoli ben definiti. L'altro leader era Ugo Di Puorto.

Accompagnato dal suo avvocato, Gianluca Scalera, Cavallari si è invece avvalso della facoltà di non rispondere in merito agli altri capi d'imputazione a suo carico, ovvero alle rapine consumate sempre all'interno di locali. Domani dovrebbero affrontare l'interrogatorio anche gli altri indagati.

Il ritratto della gang

Ragazzetti di provincia che volevano fare la bella vita. Giovani dal passato tormentato e dall’identità confusa, che avevano fatto di trasgressione e ostentazione il loro credo. Il loro tenore di vita, inspiegabile, non era passato inosservato nei Comuni della cintura modenese dove vivono. A San Cesario un’aura di diffidenza aleggiava intorno a Raffaele Mormone, il disoccupato col Rolex. Un bullo in affari col cugino, Ugo Di Puorto, il capobanda cresciuto nel mito del padre, referente dei casalesi a Modena. Quando arrestarono Sigismondo, Ugo era poco più che un bimbo. Già problematico.

A San Prospero si rincorrono le voci sulle sue scorribande, alle medie picchiava i compagni. Poi aveva alzato il tiro. "Uno da cui stare alla larga" sussurrano i coetanei. Il 19enne, con la parola Devil (Diavolo) tatuata sulla pelle, si è sempre atteggiato a boss. Si faceva persino chiamare Hugo Boss, Hugo come lo stilista, Boss come il padre. Nella camorra lui ci è cresciuto, il nonno, Ugo come lui, era il referente principale di Schiavone, detto Sandokan. "La sua casa è un bunker, telecamere ovunque", dicono i vicini. Lui e Badr spesso si vedevano per combinare guai. "Una volta hanno spruzzato un estintore nell’autorimessa del Conad", dice il sindaco Sauro Borghi.

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Anche Andrea Cavallari, l’altro capobanda, ha un passato difficile. A Bomporto molti conoscono il patrigno titolare di un negozio di elettrodomestici in piazza. Andrea era noto per essere sopra le righe, tante le denunce da minorenne. La famiglia, derubata a sua volta, lo aveva cacciato di casa; per un po’ era stato a San Patrignano ma a 18 anni aveva firmato per andarsene ricominciando a vivere di espedienti.

Intorno a Di Puorto e Cavallari convergevano i complici, ognuno col suo ruolo, ognuno col suo fardello di responsabilità. Tra questi Eros Amoruso, di Castelfranco, deceduto in un incidente nel corso delle indagini. I ricordi degli amici ieri sono spariti dai social. Tutti ora hanno paura di finire nell’inchiesta ma dopo la tragedia, un sorpasso azzardato, avevano speso parole meravigliose per descriverlo. Forse non sapevano che la sua Lancia Y, finita in testacoda, era l’auto prescelta per raggiungere le discoteche da derubare. Il bottino ritornava poi a Castelfranco da Andrea Balugani, arrestato per ricettazione. "Se queste accuse – spiega il sindaco Gianni Gargano – verranno confermate, non escludo che il nostro Comune si possa costituire parte civile sia per il danno di immagine sia per tracciare un solco netto fra il bene e il male".