ANTONIO VECA
Cronaca

Un pezzo di storia della tipografia. L’antica macchina torna in funzione

Opera d’ingegno ottocentesca, per Ermenegildo Servadei stampò opere politicamente scomode. Ora la tipografia Valgimigli di Faenza l’ha fatta restaurare in un’officina specializzata di Milano.

Opera d’ingegno ottocentesca, per Ermenegildo Servadei stampò opere politicamente scomode. Ora la tipografia Valgimigli di Faenza l’ha fatta restaurare in un’officina specializzata di Milano.

Opera d’ingegno ottocentesca, per Ermenegildo Servadei stampò opere politicamente scomode. Ora la tipografia Valgimigli di Faenza l’ha fatta restaurare in un’officina specializzata di Milano.

Ha il peso di un piccolo carro e la solidità di un’opera d’ingegneria ottocentesca, la Stanhope, macchina tipografica acquistata nel 1891 a Brisighella dalla tipografia di Ermenegildo Servadei. Un torchio che ha stampato per la Chiesa e poi sfidato lo Stato Pontificio con manifesti, libri e giornali socialisti e repubblicani. Dopo un restauro affidato a una delle poche officine specializzate in Italia, nel Milanese, oggi la Stanhope si trova alla tipografia Valgimigli di Faenza ed è tornata a funzionare. "Questa macchina – racconta Volturno Valgimigli, titolare della tipografia colpita dalle alluvioni del maggio 2023 – si trovava nella tipografia di Brisighella aperta da Ermenegildo Servadei, un personaggio rivoluzionario. Stampava libri e giornali senza nemmeno la luce elettrica, arrivata solo agli inizi del Novecento". Non è un torchio qualsiasi. In Italia ne esistono pochi esemplari e, affascinato dalla sua storia, Paolo Campana – tipografo da oltre trentacinque anni, autore di saggi e punto di riferimento per la storia della stampa in Romagna – ne ha seguito le tracce da Faenza a Ravenna, passando per Genova. Sulla sua provenienza non vi sono certezze.

"Sembra arrivare dalla Francia – spiega Campana – ed è stato realizzato sulla base dei disegni di Charles Stanhope, nobile inglese che rinunciò ai titoli e, convinto dell’importanza della cultura, non brevettò la sua invenzione per renderla libera e accessibile". Il sistema a leve permetteva di produrre migliaia di copie al giorno con tre uomini che si alternavano nei diversi compiti: uno inchiostrava, uno posizionava il foglio e il terzo tirava la leva. "Mio nonno – dice Valgimigli – ricevette la tipografia come dono di nozze da mio zio subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, quando per realizzare dieci manifesti si lavorava per un’intera settimana". Se Volturno Valgimigli è il proprietario e il mecenate del recupero, Paolo Campana è colui che ne ha ricostruito la storia. "Il macchinario – spiega – risalirebbe alla metà dell’Ottocento e potrebbe essere di produzione francese, nato dall’idea di Stanhope che lo progettò alla fine del secolo precedente. Questo in particolare fu usato da Ermenegildo Servadei, tipografo nato in una Ravenna repubblicana e poi convertitosi con convinzione al socialismo, non senza simpatie anarchiche. Socio di una tipografia a Ravenna, lo ritroviamo a Brisighella, dove iniziò a stampare testi religiosi commissionati dalla Curia; passò poi a opere politicamente più scomode, alcune scritte di suo pugno, e a periodici come ’Il Socialista’ o ’La Via’ di Lugo, oltre a collaborazioni editoriali come quella con la redazione de ’La Pace’ di Genova. Servadei subì sequestri, processi e irruzioni dei Regi Carabinieri, ma pare ne andasse fiero".

Secondo gli studi di Campana, la Stanhope arrivò a Brisighella nel 1891: dodici ore di lavoro al giorno per 2.000 fogli quotidiani. "Era una tipografia eroica, dove servivano forza, ingegno e pazienza" ricorda Campana. Dopo il fallimento della tipografia Servadei, rilevata dai Valgimigli, tutto fu trasferito a Faenza, torchio compreso, rimasto fermo per decenni. Campana e Valgimigli hanno investito tempo e risorse per riportarlo a nuova vita. Portato a Milano per il restauro – "Abbiamo rischiato di rompere il furgone" – il torchio è stato rimesso in funzione da Antonio Scaccabarozzi.

Tornato a Faenza, oggi può ancora stampare con caratteri storici, compresi quelli finiti sotto acqua e fango durante l’alluvione, poi salvati grazie all’intervento di un’autorità nel campo dello studio dei caratteri mobili, Luca Lattuga. "Quelli in pero e bosso – continua Campana – sono splendidi. Li puliamo uno a uno e ogni carattere è un pezzo unico, spesso scolpito a mano". La vicenda di Servadei e del torchio Stanhope è oggi raccolta nel volume di Paolo Campana ’Nero di inchiostro – Ermenegildo Servadei, un tipografo socialista a Brisighella (1891-1909)’, edito dalla tipografia Valgimigli.

a.v.

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