Come abbiamo deviato (e fotografato) un asteroide: il report di Unibo

Ricordate quando la sonda della Nasa ha colpito il corpo celeste Dimorphos? Nella pubblicazione del lavoro, l’Università di Bologna spiega il suo contributo nella missione spaziale Dart e perché è così importante per la nostra difesa futura

Bologna, 2 marzo 2023 – È tutto vero: abbiamo deviato un asteroide. Lo scorso 26 settembre, a 13 milioni di chilometri dal nostro pianeta, la sonda Dart della Nasa ha colpito Dimorphos, satellite dell’asteroide binario Didymos, ed è riuscito a modificarne l’orbita.

Si è trattato di un risultato di straordinaria importanza: sebbene il corpo celeste non fosse pericoloso per noi, la missione Dart ha costituito comunque il primo passo verso la costituzione di un piano concreto per difenderci da possibili oggetti astronomici che potrebbero collidere con la Terra in futuro.

Adesso, però, possiamo saperne di più grazie alla pubblicazione dei risultati su Nature. E renderà orgogliosi sapere che tra i protagonisti di questa impresa c’è anche l’Università di Bologna.

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La missione Dart

Il Double Asteroid Redirection Test è una sonda spaziale della Nasa costruita per studiare gli effetti dell'impatto di un veicolo spaziale contro un asteroide. La sua missione, da cui il nome Dart, era di quella di verificare se l'impatto del veicolo potesse deviare con successo un asteroide in collisione con la Terra

Come primo bersaglio della missione è stato scelto Dimorphos, un satellite di 160m che orbita attorno l’asteroide Didymos; e obiettivo era quello di studiare e modificare l’orbita del solo asteroide secondario, appunto il satellite Dimorphos, attorno a quello primario Didymos.

Missione compiuta: il lancio di Dart, effettuato il 24 novembre 2021, è giunto a destinazione e nella notte tra il 26 e 27 settembre 2022 si è scagliato, distruggendosi, verso il piccolo asteroide Dimorphos, deviandone la traiettoria.

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I risultati

Una serie di cinque articoli pubblicati sulla rivista Nature, descrivono nel dettaglio cosa è successo e come la missione Dart sia riuscita ad evitare l’asteroide in rotta di collisione con la Terra. Lo studio mostra come l’impatto cinetico della sonda Dart contro Dimorphos sia stato altamente efficace nel deviare l’asteroide.

Un successo al quale ha contribuito in modo significativo la grande quantità di detriti generati dalla collisione ed espulsi nello spazio: il loro movimento ha spinto infatti l’asteroide nella direzione opposta rispetto alla sua rotazione, portando a una modifica ancora più marcata della sua orbita originaria. 

La collisione è stata osservata anche dal telescopio spaziale Hubble, che ha registrato la nube di detriti espulsa nello spazio, la cui forza ha contribuito a ridurre il periodo orbitale di Dimorphos oltre alle aspettative iniziali. E l’impatto è stato osservato anche dalla Terra, grazie a una rete globale di telescopi in chiave citizen science, tra cui uno a Nairobi e tre nell’Isola della Réunion che hanno assistito in diretta al momento della collisione.

Grazie alle osservazioni realizzate è stato possibile calcolare la massa e l’energia dei detriti espulsi dall’asteroide e il loro movimento nel corso del tempo: tutti elementi preziosi per valutare le conseguenze delle prossime missioni di questo tipo.

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"I dati emersi dall’impatto di Dart mostrano che la deviazione dell’orbita di un asteroide a seguito di una collisione di questo tipo può essere significativamente maggiore di quella attesa considerando il solo impatto della sonda", spiega Marco Zannoni, ricercatore al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Bologna, responsabile tecnico delle attività affidate all’Alma Mater, e tra gli autori dello studio. "I risultati ottenuti confermano che missioni di questo tipo hanno tutte le caratteristiche per poter prevenire potenziali futuri impatti di asteroidi in rotta di collisione con la Terra".

Ma Dart è solo il primo test in scala reale della tecnica di impatto cinetico a scopo di difesa planetaria. Ricostruire nel dettaglio in che modo l’impatto della sonda ha modificato l’orbita di Dimorphos ci permette di capire come mettere a punto sistemi di difesa efficaci contro potenziali pericoli per il nostro pianeta.

Ad ogni modo, sia prima che dopo la missione, né Dimorphos né Didymos hanno rappresentato o rappresentano un pericolo per la Terra.

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Il sostegno di Unibo

Gli studiosi dell’Università di Bologna Paolo Tortora, Igor Gai, Dario Modenini e Marco Zannoni, tutti attivi al Dipartimento di Ingegneria Industriale, sono tra gli autori dello studio “Momentum Transfer from the Dart Mission Kinetic Impact on Asteroid Dimorphos”, uno dei quattro paper, guidato da Andrew Cheng dell’Applied Physics Lab della Johns Hopkins University, pubblicati sulla rivista Nature.

Il contributo fondamentale dei ricercatori dell’Alma Mater nel progetto ha riguardato la determinazione ed il controllo della traiettoria del cubesat LICIACube, un piccolo satellite dell’Agenzia Spaziale Italiana incaricato di seguire e fotografare l’evento; il satellite è stato in grado di staccarsi dalla sonda prima dell’impatto e ha seguito gli effetti della collisione. Il tutto, a partire dai dati di tracking ricevuti dalle antenne di terra del Deep Space Network della Nasa, le cui immagini sono state usate nel paper pubblicato su Nature.

"La sfida più grande è stata quella di guidare il nanosatellite LICIACube, che si trovava a 10 milioni di chilometri dalla Terra e viaggiava a più di 6 chilometri al secondo, fino a posizionarlo nel punto giusto e al momento giusto per scattare le foto dell’impatto di Dart con Dimorphos", commenta Igor Gai, dottorando e assegnista di ricerca del Laboratorio di Radio Scienza ed Esplorazione Planetaria, ospitato nei laboratori del Ciri Aerospaziale, presso il Tecnopolo di Forlì.

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Chi ha partecipato alla missione

Dart è un progetto congiunto tra l'agenzia spaziale americana Nasa e il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory.

Insieme agli studiosi dell’Alma Mater, il team tutto italiano di LICIACube comprende gli ingegneri di Argotec e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), del Politecnico di Milano, dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope e dell'Ifac-Cnr di Firenze.

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