West Nile, nuovo caso a Cona. "Clima tropicale. Non è finita"

L’allarme: sale a quattro il numero dei ricoverati con la febbre del Nilo. Sono stazionari

La caccia alle zanzare (foto archivio Ravaglia)

La caccia alle zanzare (foto archivio Ravaglia)

Ferrara, 14 agosto 2018 - La febbre del Nilo colpisce ancora. Il numero dei pazienti infettati dal virus West Nile aumenta di giorno in giorno. Anche a Ferrara, nei giorni scorsi, si è registrato un nuovo caso. Si tratta di una persona anziana, già ricoverata all’ospedale di Cona per altre patologie. Sabato, dopo la scoperta del contagio, il paziente è stato trasferito nel reparto di malattie infettive. Con questo nuovo caso sale a quota sette il numero di persone contagiate dal virus West Nile nel Ferrarese dall’inizio del 2018. Tre di queste non ce l’hanno fatta. Le complicazioni legate all’infezione le hanno uccise. Quattro si trovano invece ancora ricoverate. A quanto si apprende da fonti ospedaliere, le loro condizioni sono stazionarie e monitorate costantemente. Sommando i casi ferraresi a quelli accertati nelle altre province della Regione, le infezioni da West Nile acclarate sono in tutto 25. Almeno per quanto riguarda Ferrara, il trend è in netto aumento rispetto all’anno scorso.

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Cos'è
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Un'impennata della quale, secondo gli esperti, il principale responsabile sarebbe l’altissimo numero di zanzare. Una proliferazione legata alle temperature miti dell’inverno e della primavera scorsi. Ma cosa fare per cercare di contrastare il propagarsi dell’infezione? A oggi non esiste un vaccino efficace per l’uomo. L’unica via quindi, secondo gli addetti ai lavori, è la prevenzione. Prevenzione che passa principalmente dalla lotta alle zanzare e agli uccelli, principali vettori della malattia. "Bisogna fare un ragionamento su larga scala – spiega il responsabile del reparto di malattie infettive dell’ospedale di Cona, Marco Libanore –. Se non si appronta un piano strategico per limitare zanzare e volatili la situazione diventerà sempre più complicata".

Il clima che caratterizza le nostre terre, secondo il medico, è ormai "più subtropicale che temperato. Visto quindi che il serbatoio della West Nile è animale, serve un’opera di bonifica importante, in grado di interrompere la catena epidemica". In altre parole, occorre "fare tutto il possibile in termini di contrasto alla proliferazione di specie di uccelli che risultano più deleterie che vantaggiose per la popolazione".

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Nel frattempo, negli ospedali delle aree maggiormente interessate dall’emergenza, si cerca di effettuare un monitoraggio capillare dei casi a rischio. "In Veneto – spiega l’infettivologo – hanno attivato un sistema di sorveglianza su tutti quelli che presentano febbre. Noi, invece, stringiamo il focus su quelli che presentano interessamento neurologico, cioè i casi più gravi. Ritengo che il primo metodo sia piuttosto dispersivo mentre quello adottato in Emilia Romagna ci permette di andare al nocciolo del problema". Difficile al momento pensare che il peggio sia alle spalle. Soprattutto guardando i bollettini medici che ogni giorno sono costretti ad aggiornare la contabilità dei contagi.

Su questo fronte, nemmeno Libanore si mostra particolarmente ottimista. "Non è finita – scandisce –. Le condizioni climatiche fanno pensare che ci saranno altri casi. Ogni estate, per noi, sta diventando un punto interrogativo. È quindi importante tenere sotto controllo i sintomi cardine, che devono immediatamente allertare in modo che il problema non venga sottovalutato". Sul fronte del vaccino la strada potrebbe però essere ancora lunga. «Al momento è stato provato sui cavalli – conclude il responsabile del reparto di malattie infettive –. Quello per l’uomo sarà fondamentale. Al momento sono in corso studi immunologici per vedere se chi viene colpito presenta deficit a livello delle cellule che partecipano all’eliminazione del virus. Questa ricerca può permetterci di verificare se ci sia qualcuno predisposto al contagio dal punto di vista genetico».