
Modena, 15 giugno 2023 – Sette mesi di dolore, di agonia, di silenzi e parole, di dubbi e punti interrogativi. Con una sola triste certezza: Alice Neri, la giovane mamma 32enne di Ravarino, lo scorso 18 novembre è stata uccisa e il corpo trovato carbonizzato dentro la sua macchina nelle campagne di Fossa di Concordia. Sono ancora tre gli indagati: il principale sospettato Mohamed Gaaloul, il marito della vittima Nicholas Negrini e il collega Marco Cuccui. Perizie, udienze, indagini: mentre l’iter giudiziario prosegue, c’è un altro fondamentale elemento, che è quello umano. Quello della famiglia di Alice che ancora attende la verità e di poter dare una degna sepoltura alla giovane. Da sette mesi il fratello, Matteo Marzoli combatte ogni giorno nell’attesa di sapere come sua sorella è stata uccisa, per tenere vivo il suo ricordo e in alcuni casi anche per preservare la sua immagine da ingiustificati attacchi.

Matteo, quali convinzioni ha maturato sette mesi dopo la morte di sua sorella?
"Come è stato fin dall’inizio, e al netto di quanto risulta a oggi, tutti gli indizi convergono sullo stesso punto, ossia sul principale indiziato, Mohamed Gaaloul. Tutto il resto che si è provato a fare è stato un ‘gran buco nell’acqua’".
Intende che ci sono stati ritardi nelle procedure?
"No, ma ci sono stati spostamenti di date per fare fronte a tutte le richieste fatte dal legale del marito di Alice per non lasciare spazio ad alcun dubbio, e questi continui controlli comportano degli slittamenti. Personalmente io mi focalizzerei sul punto, senza combattere contro i mulini a vento, per arrivare alla verità e dare una degna sepoltura a mia sorella il cui corpo è ancora in giro per l’Italia". Queste richieste a cosa hanno portato?
"Solo a fare trapelare false informazioni e voci sulla condotta morale di Alice che è stata lesa a 360 gradi. Sono stati effettuati gli esami tossicologici su 13 sostanze stupefacenti, tutti negativi, facendo quindi cadere la tesi della morte dovuta ad un mix di droga e farmaci. Altro elemento, il reggiseno: è stato detto che vi erano stati trovati tre diversi Dna, maschili, ancora al fine di insinuare dubbi e macchiare la sua immagine. Al netto sono due i Dna e sono appartenenti a due inquirenti. Ora si aggiunge l’elemento del cellulare. La strategia è quella di spostare l’attenzione, anche con un finto scoop: invito tutti ad essere più obiettivi e a muoversi in maniera onesta laddove invece sono utilizzati i mezzi più spregevoli che esistano".
Come è stata dipinta Alice? "Come una tossicodipendente, alcolizzata, una cattiva mamma perché la sera è uscita. Mai è stata definita come una vittima, ma semmai come ‘una che se l’è cercata’".
Perché?
"Chiedetelo a chi si diverte a continuare a fare così. Stanno continuando a violentarla senza pietà anche dopo morta. Io da sette mesi combatto, insieme al nostro avvocato di famiglia, Cosimo Zaccaria, per preservare la dignità di mia sorella. Un conto è se una notizia ‘scomoda’ può essere di rilievo per le indagini, ma qui siamo di fronte a delle illazioni, per fare sensazionalismo, distruggendo il ricordo di Alice, l’unica cosa che c’è rimasta. Non avevo mai visto un tale accanimento contro una vittima".
Qual è il suo auspicio?
"Che si persegua nella ricerca del vero colpevole, e non di un colpevole ‘a caso’. Mia sorella è morta, della giustizia me ne faccio ben poco, lei non tornerà, ma ci sono altre donne e mamme in giro che potrebbero fare la stessa fine".
Lei difende il terzo uomo, in tanti si sono stupiti.
"Mi hanno accusato di essere suo amico, di capirlo, ma il mio è puro senso civico. Si è cercato in tutti i modi di criminalizzare una persona ma senza avere niente in mano: indizi, prove. A fronte delle motivazioni della Procura, a oggi non ci sono elementi che ne comprovano il coinvolgimento. Qualcuno aveva fretta di volersi fare pubblicità sulla pelle di Alice".
A chi si riferisce?
"Mi limito a dire questo. Le persone cui mi riferisco lo sanno benissimo".