Bologna - Chissà a quanti, dei 30milioni di inquilini dei condomini italiani, il conto dovuto alla comune proprietà apparirà troppo salato; magari anche in rapporto agli importi che debbono versare i vicini. Lamentele del tipo «… ma io l’ascensore non lo uso» o «… però il mio appartamento è più piccolo di quello di Tizio» sono all’ordine del giorno.


Per far fronte a questo genere di questioni nel 1942 si decise di introdurre un criterio che segnò una svolta rispetto al passato. Si tratta dei cosiddetti ‘millesimi’, i quali, fatto mille il valore complessivo del condominio, esprimono con una frazione il valore proporzionale di ciascun appartamento.

Non influiscono in questo senso le rifiniture interne, il canone di locazione stabilito, le migliorie apportate o lo stato di manutenzione, poiché il singolo immobile viene valutato allo stato ‘grezzo’ e non come se stesse sul mercato. Entrano in ballo, invece, altri fattori quali l’estensione, l’altezza, l’esposizione, etc..
 

Dunque, paradossalmente, il proprietario di un alloggio fatiscente potrebbe trovarsi addebitata una quota condominiale più esosa di quella del vicino che ha dotato la propria casa di arredi di lusso. L’esempio in questione introduce uno dei due ambiti in cui vengono chiamati in causa i millesimi, ossia quello delle spese.
 

I costi della pulizia delle scale e dell’ascensore, della manutenzione del tetto o della facciata, e tutti quelli legati al godimento e alla conservazione dei beni comuni sono ripartiti tra i condomini in base ai millesimi associati ad ognuno: chi ne ha di più paga di più, in proporzione.
Inoltre, con lo stesso criterio sono definiti i quorum per la costituzione e la deliberazione dell’assemblea.
 

Chi stabilisce, però, il valore di ogni appartamento, quindi le quote che gravano su ciascun condomino, nonché il ‘peso’ di quest’ultimo in assemblea? Normalmente è il costruttore a predisporre delle tabelle millesimali (obbligatorie per gli immobili con almeno 10 abitanti) che vengono poi allegate al regolamento e accettate contestualmente dagli inquilini al momento della sottoscrizione del contratto d’acquisto.


Altrimenti, l’assemblea dovrà conferire ad un tecnico l’incarico di redigerle. Se ne devono imbastire diverse, tenendo conto delle caratteristiche peculiari di ogni stabile: una per le scale e l’ascensore, una per il riscaldamento centralizzato e una per la manutenzione del giardino. Se ne possono redigere anche per il tetto, le cantine e il garage. E non solo.


Almeno due andranno definite in caso di supercondominio: una per il complesso e una per il singolo edificio.
Rappresentano, insomma, uno strumento molto importante per regolare la gestione dei beni comuni. Ma non indispensabile.
 

Infatti, la Cassazione nel 2011 ha stabilito la possibilità di identificare le quote di partecipazione al condominio indipendentemente dalla formazione della tabella millesimale, la cui esistenza, pertanto, non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari («poiché la tabella agevola, ma non condiziona, lo svoglimento dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio).

Antonio Del Prete

 

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