Bologna - «VERBA volant, scripta manent» dicevano i latini, ispiratori, peraltro, del nostro ordinamento giuridico. Un principio sempre valido, utile soprattutto quando si chiude dietro le spalle la porta di casa. Tanto più se l’abitazione in questione si trova in un condominio. In tal senso la legge si preoccupa di garantire la maggiore trasparenza possibile, ponendo in capo all’amministratore l’obbligo di redigere una volta l’anno un rendiconto condominiale (primo comma dell’articolo 1130 bis del codice civile) seguendo il principio di competenza.

Viene dunque abbandonato il cosiddetto criterio di cassa: le varie voci sono relative ai singoli esercizi indipendentemente dalla data di esecuzione delle operazioni di pagamento o di riscossione.
 

Il rendiconto si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario e, a scanso di equivoci, di una nota sintetica esplicativa della gestione.

Il primo è una sorta di libro giornale, nel quale andranno registrate in ordine cronologico tutte le operazioni poste in essere al fine di consentire una verifica immediata; il secondo è un prospetto che riepiloga per voci omogenee i singoli movimenti finanziari intervenuti nel corso dell’esercizio (come ad esempio i versamenti delle quote condominiali) e dal quale sia possibile dedurre l’avanzo o il disavanzo della gestione; la terza è un testo che dà il senso dei primi due documenti: presenta l’andamento della gestione e i suoi fatti salienti, un po’ come avviene con la nota integrativa del bilancio delle società di capitali.

Anche se — stabilisce nel 2007 la Cassazione — non è necessario che la contabilità sia tenuta dall’amministratore «con rigorose forme analoghe» a quelle previste per tali soggetti, «essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione». Si è preferito, dunque, adottare un sistema che non richieda competenze troppo specialistiche, in modo da non rendere impossibile, di fatto, il lavoro dei cosiddetti amministratori interni.
 

Nondimeno il rendiconto deve presentare ogni dato relativo alla situazione patrimoniale, compresi i debiti e i crediti, il saldo del conto corrente e dell’eventuale cassa contanti, i fondi e le riserve costituite.
 

Le somme in uscita, inoltre, dovranno transitare sul conto corrente intestato al condominio e l’amministratore dovrà curare i necessari adempimenti fiscali. Insomma, le parole d’ordine in materia sono chiarezza e completezza. Il tutto a garanzia del singolo condomino, che ha almeno altri tre strumenti per capirne di più. Innanzitutto, secondo l’articolo 1130 bis del codice «i condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese».

In secondo luogo, l’assemblea può nominare un revisore (in qualsiasi momento) che verifichi la contabilità e, negli edifici di almeno dodici unità immobiliari, un consiglio di condominio (composto da almeno tre condomini) con funzioni consultive e di controllo.

Inoltre, il rendiconto è sottoposto all’approvazione assembleare, condizionata al voto positivo della maggioranza degli intervenuti che possieda almeno la metà dei millesimi. Proprio in base a queste quote, infine, è stabilita la ripartizione delle spese, che dovrà risultare, come si conviene pacificamente, da un prospetto esplicativo allegato al rendiconto condominiale.
 

Antonio Del Prete

 

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