Forlì, 13 maggio 2022 - Ce l’hanno ben chiaro le organizzazioni dei produttori ortofrutticoli: se la progressiva carenza di manodopera non inverte la tendenza la produzione primaria della filiera (forte nella nostra area di importanti sistemi di gestione, lavorazione e produzione ma non più di vaste dimensioni poderali) si spegne inesorabilmente. I campi in Romagna, e soprattutto a Forlì e Cesena, sono ancora fruttiferi ma non ci sono braccia per diradare, potare, raccogliere. Rispetto a tre anni fa manca il 30 per cento della forza lavoro, andando ancora indietro nel tempo la contrazione è del 50 per cento. E’ anche a causa di questa carenza che molti agricoltori abbandonano le produzioni intensive tipiche della nostra area. Sono in crisi soprattutto le coltivazioni di pesche, albicocche, susine e fragole. Nel 2022, dice Confagricoltura Emilia-Romagna, servono 5 milioni di giornate lavorative per soddisfare il fabbisogno dei frutteti emiliano-romagnoli. Ce ne saranno poco più di 3 milioni. "Il problema è di vecchia data - commenta Danilo Misirocchi, presidente di Cia Romagna (7 mila aziende romagnole associate) - e dobbiamo puntare il dito contro i decreti flussi che dovrebbero garantire manodopera straniera. Del resto quella italiana è del tutto scomparsa e non c’è altra soluzione". Manodopera non specializzata, soprattutto, proveniente dall’Albania e dall’Africa poiché neppure i Paesi della Ue, come la Romania, offrono più grandi disponibilità. Si fa strada anche l’opzione degli ucraini, gente che per tradizione sa lavorare la terra. "Ci siamo orientati alla richiesta di un anticipo del decreto flussi previsto per giugno - evidenzia Misirocchi -, poiché ad oggi, a fronte di una richiesta di 900 lavoratori per l’area di Forlì e Cesena, peraltro valida per tutti i settori stagionali compreso il turismo, ne sono stati autorizzati solo 200. Occorrerebbe che questi lavoratori potessero estendere il loro soggiorno in Italia e magari ...
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